Anno IV – n. 4,5 Novembre 1982
Prof.ssa Adriana Pepe

I suggestivi ruderi dell’antico «casale» di Balsignano caratterizzano (ma fino a quando, ancora?) la porzione sudorientale dell’agro modugnese (a circa 3 Km. dal centro abitato, lungo la carrozzabile per Bitritto, e richiamano alla memoria la lunga continuità di insediamento (X-XVI see.) e le molteplici trasformazioni dei livelli di vita di quella comunità contadina, in larga misura rifluita nella vicina Modugno. In altra occasione mi sono soffermata a considerare i problemi strutturali e le situazioni culturali testimoniate dalle superstiti fabbriche dell’interessante complesso.
Oggi, il riesame dei più antichi documenti che menzionano Balsignano, induce ad alcune considerazioni in merito alla configurazione di quel sito e del suo intorno, quale possiamo desumerla dalle «chartae» medievali e quale si presenta ai nostri giorni. In uno strumento di suddivisione di beni redatto nell’anno 962, il «castello» in «loco Basiliniani», con i fabbricati rustici, le attrezzature agricole e i poderi ad esso adiacenti, si situa sulla cresta di una «lama», e assume come punti di riferimento, per la designazione dei confini di proprietà, una «via publica» ed una «via antica. Con maggior precisione, nell’atto di donazione del 1092, con cui il duca normanno Ruggero e sua moglie Adele offrono «Basi- linianum» e le sue pertinenze alla lontana abbazia benedettina di S. Lorenzo di Aversa, l’area del casale trova un suo preciso limite in un asse viario — la «stratam magnam que vadit ad predictam civitatem bari» —, che assicura le comunicazioni dell’area modugnese con la costa e con il vicino centro urbano. Il riferimento ad un «montem supra ip-sum castellum» e ad una «valle episcopii barensis», completano il quadro antico, ma ancora oggi identificabile, di questo ambiente naturale fertile di oliveti, vigneti e alberi da frutta.
Fra X e XI secolo, dunque, Balsignano si sviluppa come nucleo insediativo fortificato, in posizione eminente e in un’area servita da una diramata viabilità locale, nonché da un asse viario a dimensione territoriale, — la «mulattiera» menzionata già da Strabone — che da tempi antichi collegava Butuntum a Caelia, passando per Modugno, e offriva un percorso alternativo interno al tracciato principale della via Traiana. Al di là del caso particolare, la ricca documentazione del Codice Diplomatico Barese testimonia, nella medesima epoca, l’esistenza di una fitta rete di tracciati viari che innerva l’intero territorio pugliese, sovrapponendosi alla viabilità primaria delle grandi arterie romane — la via Appia e la Traiana —, che ancora in età medievale costituiscono le direttrici fondamentali delle invasioni, dei pellegrinaggi e dei traffici meridionali. Mulattiere e strade carraie, talora scavate lungo i costoni calcarei di lame e gravine (le «viae», «vicinales», «semites», «strictae» ecc. delle «char- tae») si diramano capillarmente, collegando le città costiere in crescente espansione a un habitat rurale ancora fittamente segnato dalla presenza di casali fortificati, di villaggi scavati nei banchi rocciosi, di monasteri extraurbani, con le lo ro più o meno estese aziende agricole.
Questo articolato sistema di collegamenti fra centri di consumo e luoghi di produzione, fra centri di potere e nuclei insediativi periferici, si conserverà per secoli, tutto sommato efficiente, nell’immobile contesto di una società ancora sostanzialmente agricolo-feudale. Le troppo rapide trasformazioni degli ultimi decenni, il radicale mutamento dei quadri di vita e dei modelli culturali, hanno profondamente alterato quel plurisecolare assetto. Le testimonianze superstiti dell’antico habitat rurale, ancora numerose, ma frammentarie e spesso dimensionalmente modeste — i ruderi di Balsignano come quelli di Pacciano, presso Bisceglie, S. Maria delle Grotte come Ognissanti di Valenzano, per citare qualche esempio — risultano decontestualizzate rispetto ad una situazione di squilibrati e discutibili rapporti fra nuclei urbani e ambiente rurale; restano emarginate rispetto all’attuale circuito di comunicazioni veloci (strade ferrate, autostrade, aeroporti) e, quindi, sottratte alla fruizione collettiva. Riflessioni forse ovvie, ma che mi sembra valga la pena di proporre, in considerazione di un degrado — dell’ambiente e dei manufatti — che va inesorabilmente accelerandosi in misura direttamente proporzionale all’emarginazione e alla disattenzione. Il recupero al circuito della memoria di quelle preziose, anche se non vistosamente «emergenti» testimonianze, non può restare affidato alla buona volontà e alla vivace attività di pochi operatoti culturali locali.
Né sembra ormai metodologicamente corretto orientare l’intervento soltanto verso il singolo oggetto. Perché quei resti riassumano in pieno il proprio ruolo di presenze vere in un sistema di reciproci rapporti; devono essere reintegrati in una diversa dinamica territoriale che li veda, ancora una volta, poli di interesse per una collettività che si assuma, insieme con l’eventuale proprietario privato, la corresponsabilità del recupero, della gestione e della tutela.
Nel numero di dicembre del 1980 di «Nuovi Orientamenti», Raffaele Licinio proponeva, come ultima e più attendibile ipotesi per il recupero e il riutilizzo, di assumere Balsignano in un generale disegno di «itinerario storico-artistico» nel quale questa, e le altre significative presenze delle campagne limitrofe, nuovamente interrelate, si offrano ad una più moderna «didattica della storia».
Oggi, quell’ipotesi sembra trovare una possibilità di pratica applicazione nell’ambito del recente «progetto speciale», elaborato dai Ministeri per i Beni Culturali e per gli Interventi straordinari per il Mezzogiorno, denominato «Itinerari turistico culturali». Impostato sul concetto che i beni culturali costituiscono «la risorsa primaria dalla cui valorizzazione possono derivare quegli effetti economici e sociali a lungo ricercati per assicurare al Mezzogiorno una reale partecipazione alla crescita generale del Paese», il progetto dovrebbe offrire una nuova prospettiva per una conservazione autenticamente attiva, integrata all’uso sociale. L’ampia risonanza che gli «Itinerari» stanno avendo presso Amministrazioni locali e organi di stampa, è certamente positiva per la sensibilizzazione di più vasti strati di opinione pubblica al problema del recupero e della gestione delle memorie, ma rischia di trasformare quelle stesse memorie in un nuovo bene di consumo.
Occorre che nella pratica attuazione, oltre che nello spirito del progetto, gli obiettivi della «valorizzazione a fini culturali» e della «valorizzazione a fini sociali» si compongano in un preciso equilibrio con quello della «valorizzazione a fini economici». In altri termini, che Balsignano e il suo intorno, ricco di numerosi altri contenitori abbandonati, segni altrettanto preziosi del nostro passato, venga recuperato alla coscienza e alla fruizione collettiva come sede di servizi o come centro di attività produttive artigianali, non solo come meta per un turismo frettoloso, distratto e spesso deturpante. Modugno risulta inserito, con altri centri dell’entroterra a sud di Bari (Valenzano, Sannicandro, Binetto, Bitetto, Noicattaro, Conversano), nell’itinerario caratterizzato dalla «cultura arabo, bizantina, normanno, sveva»: ci auguriamo tutti che l’occasione non vada sprecata.