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28 settembre 1806

Il governatore di Modugno intima di riparare le mura

Il governatore di Modugno intima al partitario di riparare le mura perché la città possa essere custodita «dagli insulti dei malviventi»

24 settembre 1956

Viene inaugurato l’Oratorio

Viene inaugurato a Modugno il complesso dell’Oratorio, costruito grazie alle capacità organizzative dell’arciprete Nicola Milano e dalle donazioni dei Modugnesi, anche d’America.  

24 settembre 1896

La situazione dei lavoratori in una relazione del sindaco di Modugno al prefetto di Bari

In una relazione del sindaco di Modugno al prefetto di Bari viene presentata in modo assai allarmante la condizione delle classi lavoratrici nella città: agli operai e ai braccianti manca il lavoro nella gran parte dell’anno: i salari «sono piuttosto insufficienti». I proprietari non accettano il contratto di mezzadria, dal quale i braccianti potrebbero ricevere sollievo.

23 settembre 2002

Omicidio di Giuseppe Lacalamita

La sera del 23 settembre del 2002 Beppe, ragioniere di 30 anni, e la fidanzata, che sarebbe diventata sua moglie nel 2003, si trovavano lungo una strada di campagna a Modugno per vedere in privato i fuochi d’artificio della Festa Patronale: proprio qui la ragazza ha visto il suo compagno morirle davanti cercando invano di difenderla.

L’omicidio, a Modugno, di Giuseppe Lacalamita

La sera del 23 settembre del 2002 Beppe Mangialardi, ragioniere di 30 anni, e la fidanzata, che sarebbe diventata sua moglie nel 2003, si trovavano lungo una strada di campagna a Modugno per vedere in privato i fuochi d’artificio della Festa Patronale: proprio qui la ragazza ha visto il suo compagno morirle davanti cercando invano di difenderla. La rivista «Nuovi Orientamenti» si è occupata del vile omicidio attraverso un interessante editoriale a firma del prof. Serafino Corriero, pubblicato nel numero n. 105 del mese di Ottobre 2002 (Anno XXIV) che si ripropone integralmente.
mp
Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Serafino Corriero
Editoriale

L’uccisione del rag. Giuseppe Lacalamita, avvenuta la sera del 23 settembre (festa di S. Nicola da Tolentino) nel corso di un tentativo di rapina ad opera di tre Albanesi residenti a Modugno, è un avvenimento che ha scosso profondamente la comunità cittadina, e che quindi ci obbliga a qualche riflessione che vada al di là dell’ambito puramente criminale nel quale esso è maturato. È evidente che episodi di tale portata vadano innanzi tutto inquadrati in fenomeni generali, o addirittura epocali (le grandi migrazioni di massa) che caratterizzano il tempo in cui viviamo, ma questo non ci esime dal ricercare anche le ragioni peculiari e le condizioni specifiche che innescano o alimentano fenomeni gravi di devianza o di criminalità organizzata. Anche perché, di fronte a questi fenomeni, una comunità, piccola o grande che sia, tende istintivamente (e sbrigativamente) a rinchiudersi in sé, individuandone le responsabilità solo in fattori ad essa esterni, che siano sopraggiunti ad “inquinare” la propria presunta purezza ed innocenza.

Una prima considerazione intorno a questo tragico evento ci viene suggerita da una scritta razzistica apparsa nella villa comunale (“Da Durazzo a Tirana tutti figli di puttana”). Essa rivela il tentativo – piuttosto maldestro, in verità, ma da non sottovalutare – di innescare a Modugno un conflitto con una comunità di immigrati – quella albanese – che, pur essendo la più numerosa del nostro territorio, non aveva finora dato motivi di particolare preoccupazione per la convivenza civile e l’ordine pubblico, ma che, anzi, si è nel complesso ben integrata nella nostra comunità, offrendo a tanti Modugnesi – che magari ora “storcono il naso”- lauti guadagni nell’affitto delle abitazioni (spesso squallide soffitte), braccia robuste in lavori materialmente pesanti (agricoltura, edilizia, commercio), palle ricurve in altri lavori socialmente ingrati (attività domestiche, assistenza ad anziani infermi, ecc…).

Ha fatto bene, dunque, il sindaco di Modugno, Pino Tana, a mettere subito in guardia la città dal rischio di una “caccia alle streghe” anti-albanese, ma crediamo che i Modugnesi siano abbastanza smaliziati per cedere a questa insidia, se non altro perché la nostra città è da molto tempo ormai molto poco “autoctona” e prevalentemente composta da “forestieri” di varia provenienza.

Più subdolo e pericoloso ci sembra invece un altro rischio, che, scossa da un fatto criminoso così rilevante, si insinui nella coscienza collettiva dei Modugnesi l’inclinazione a distinguere tra una criminalità “minore” normale, accettabile, o addirittura “legittima”, e una criminalità “maggiore” pregiudicata, esecrabile, e pertanto “contro regola”, nell’illusione che la tolleranza della prima ci salvaguardi dalla ferocia della seconda. Non è affatto vero, tra l’altro, che furti, scippi, piccole rapine ed estorsioni, quando non siano episodi isolati ma costituiscano – come avviene a Modugno – un contesto permanente del nostro vivere civile, siano fatti meno violenti, meno laceranti, meno angoscianti di un funesto omicidio: essi vengono ad inficiare fortemente la sicurezza collettiva, a sconvolgere la vita quotidiana di chi ne è colpito, e fra tutti, in particolare, quella dei più deboli e indifesi, i bambini egli anziani. La criminalità, insomma, non è né “micro-” né “macro-”, ma è sempre crimen, cioè dis-crimen, cioè “separazione”, anomalia, che merita di essere segnalata, giudicata e punita, nel ripetto, naturalmente, delle norme e delle finalità fissate dalla legge.

Un’altra osservazione ci sembra di dover fare in ordine a questo tema. Tutti i fenomeni criminosi, piccoli o grandi che siano, non possono essere isolati da un più ampio contesto che mette in discussione non solo i comportamenti di individui o di gruppi isolati, ma anche quelli di gran parte dei cittadini, se non addirittura dell’intera comunità. Si tratta di quei comportamenti illegali e incivili che, quando siano anch’essi socialmente diffusi, costituiscono una fonte costante di corruzione, di degrado, di deterioramento morale, sul quale s’innesta e prospera la più aggressiva criminalità.
Inciviltà, illegalità e criminalità sono insomma tre livelli di un unico edificio, direi meglio di una piramide nella quale quanto più estesa è la base (l’inciviltà), tanto più ampi e contigui sono il corpo centrale (l’illegalità) e il suo vertice (la criminalità): tre livelli non rigidamente separati, ma elastici e intercomunicanti, interdipendenti, reciproca mente condizionati. Non è un caso che i grandi fenomeni criminosi del nostro paese (mafia, camorra e loro varianti) siano concentrati nelle aree più degradate e meno vivibili di esso, là dove l’illegalità e l’inciviltà sono così diffuse da essere considerate ormai endemiche e da rimanere il più delle volte “non-crimi- nate”, non più segnalate, e quindi impunite. Chi si cura più oggi, a Modugno, di andare a denunciare ai carabinieri il furto di una bicicletta o lo scippo di una borsetta?

Nella nostra città, dunque, come del resto in gran parte dell’Italia meridionale, questo tessuto di connivenza e di connessioni con la criminalità è sempre stato abbastanza ampio, e forse oggi si va estendendo, di pari passo con il progressivo intensificarsi della congestione urbana, del degrado ambientale, delle disuguaglianze economiche, sociali, culturali. Così a Modugno, per fare qualche esempio, sembra ormai «normale» passare col rosso al semaforo, guidare il motorino senza casco, sorpassare a destra, ignorare le strisce pedonali, sostare in doppia – tripla fila davanti alle rosticcerie, depositare sulla strada contenitori e bottiglie dopo aver consumato pizza birra in auto, portare il proprio cane a fare i suoi bisogni davanti alle case altrui, scaricare in periferia rifiuti di ogni tipo (inciviltà), oppure affittare una casa «in nero», non pagare i contributi ai dipendenti, non esporre i prezzi in vetrina, costruirsi una stanza in più, abbattere la facciata di un edificio storico (illegalità); per non parlare, infine, di quelle situazioni “legittime”, ma non per questo meno intollerabili, come le antenne e i ripetitori in pieno centro, i complessi edilizi abnormi, le nauseanti puzze quotidiane, le colonie di cani randagi e aggressivi.
Questi ed altri simili comportamenti (da alcuni dei quali neppure chi scrive pretende di essere esente) sono qui da noi così diffusi e ormai accettati che, quando ci rechiamo in altre regioni del centro-nord d’Italia, o in altri paesi europei, restiamo come stupefatti e quasi disorientati di fronte all’ordine, alla pulizia, al rispetto delle cose e delle persone, e noi stessi – i meridionali – ci sentiamo come a disagio, come “osservati”, e per questo stiamo ben attenti a comportarci bene, ad essere precisi e disciplinati. Così, allo stesso modo, i forestieri e gli extracomunitari che vengono ad abitare a Modugno avvertono subito la “qualità” dell’ambiente che li circonda, e tendono di conseguenza ad adeguarsi, quando, naturalmente, non abbiano già per proprio conto una individuale conformazione mentale e morale ben consolidata, sia in senso positivo che in senso negativo. Non di rado, fra i miei non pochi amici albanesi (gente di tutto rispetto, che potrebbe insegnare civiltà e moralità a tanti nostri concittadini), ho sentito dire che «Modugno è più o meno come l’Albania»: pare, insomma, che sia il paesaggio urbano sia quello civile della nostra città non siano poi molto “distinti” rispetto a quelli di Durazzo e di Tirana, così volgarmente offese in quella miserevole scritta. E che dire poi del gusto tutto modugnese del “frecare” ad incauti malcapitati qualunque oggetto lasciato appena incustodito, dalla bicicletta all’ombrello, dall’utensile domestico ad un attrezzo agricolo?
Di fronte a problemi di tale portata le istituzioni appaiono spesso inadeguate, ma evidentemente le risposte non possono essere soltanto repressive. Certo, i Carabinieri dovranno essere più presenti sul territorio, i Vigili Urbani dovranno essere più vigili, ma, dopo l’uccisione del giovane Lacalamita, toccherà a tutti noi cittadini modugnesi compiere lo sforzo più difficile: quello di modificare alcune cattive abitudini per innalzare il livello di civiltà complessivo del nostro territorio, cominciando magari a fermarci sempre davanti ad un semaforo rosso, anche se l’ora è tarda e dall’altra parte non viene nessuno. Ma la più grande responsabilità, in questo campo, compete ai presenti e futuri amministratori del nostro Comune: rendere la città più vivibile, più decorosa, più dignitosa. La ristrutturazione della villa comunale, la realizzazione del parco di via Verga, il rifacimento della pavimentazione nel centro storico, la ristrutturazione della piazza Romita Vescovo costituiscono importanti successi, ma ancora molto resta da fare: aiutare le scuole nell’opera di integrazione multietnica, incrementare i centri di promozione culturale, attivare nuovi impianti sportivi, cominciando con l’aprire subito la piscina comunale, che tanti giovani può sottrarre ai rischi della devianza. Purtroppo, i nostri Amministratori e dirigenti politici sono impegnati da mesi in estenuanti e penose trattative “per trovare nuovi equilibri” all’interno dei partiti e dei gruppi di maggioranza: a loro evidentemente interessa più chi deve fare l’assessore che non che cosa un assessore deve fare.

SAN NICOLA DA TOLENTINO 2022. IL DISCORSO DI DON NICOLA COLATORTI

Come di consueto, all’inizio della processione di san Nicola da Tolentino, patrono della città di Modugno, don Nicola Colatorti, parroco della Chiesa Matrice di Modugno, ha tenuto il suo discorso alla cittadinanza nell’ambito del rito della «consegna delle chiavi» da parte del sindaco, ing. Nicola Bonasia.
Quest’anno don Nicola ha introdotto la sua relazione con un suggerimento che papa Francesco ha fatto alla Chiesa in merito alla necessità di un «cammino sinodale», in modo da procedere uniti nella stessa fede.
La circostanza è stata quanto mai opportuna per sottolineare che «non si può essere assidui nelle celebrazioni religiose ed essere sordi ai lamenti che ci giungono dalla porta accanto» .
Una considerazione che ha richiamato il concetto di Carità, la più importante delle virtù teologali, così come afferma san Paolo, quando dice: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1 Cor 13,13); ancora più incisivo, il monito di san Giacomo: «Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (Gc 2,17).
Con questa premessa don Nicola introduce il suo discorso inerente, come di consueto, all’analisi della situazione dei tempi che stiamo attraversando e, in particolar modo, alla nostra realtà locale, auspicando che lo spirito della sinodalità possa guidare coloro che hanno responsabilità politiche e sociali.
Non poteva mancare il riferimento alla grave crisi energetica che interessa, in modo più incisivo, le famiglie con un reddito più basso e che dovranno confrontarsi con il costo esorbitante delle bollette. A tal proposito è stata interessante l’idea di «costituire un fondo energetico là dove lo Stato non riesce ad arrivare» pur ricordando, però, che l’operato della pubblica autorità non si sostituisce alla responsabilità di ciascun cittadino.
La sinodalità non prevede deroghe ad un concetto molto semplice: solo se si resta uniti si possono affrontare, con maggior coraggio, le avversità della vita.
Un discorso che, partendo da spunti di riflessione cristiana, ha fornito interessanti indicazioni sulle quali ciascuno di noi, nell’ambito delle proprie possibilità e competenze, è chiamato a riflettere.

marco pepe

Qui di seguito il discorso integrale di don Nicola Colatorti

Piazza Sedile, lunedì 19 settembre 2022

“La festività odierna ci offre ancora motivo per ripensare la realtà di questa nostra città e porla nelle mani di San Nicola. L’occasione quest’anno ci viene suggerita da papa Francesco su una proposta che lui ha voluto fare a tutta la Chiesa: quella di un cammino sinodale, cioè di camminare insieme, di sentirci compagni di viaggio; un suggerimento che ha molto da dire ai cristiani. Questa proposta noi la allarghiamo all’intera società.

Per i cristiani camminare insieme significa riconoscersi segnati dal battesimo, partecipi di quella comunità che chiamiamo Chiesa. Capire che la Chiesa non è il luogo di occasionali utilità da cui attingere nel bisogno per poi ritirarsi nel rifugio privato: molti sono i cristiani anonimi, senza un volto, senza un’appartenenza, sciolti da ogni vincolo, che appaiono per qualche circostanza, forse anche religiosa, e poi perdersi nel nulla. Cari fratelli nella fede, riconoscete la vostra identità, sappiate tenervi uniti dalla stessa fede, sentitevi Chiesa! La Chiesa soffre della lontananza dei suoi figli e soffre doppiamente là dove di questa lontananza se ne sente colpevole. Riscopriamo i nostri vincoli in quell’unità nutrita di carità, capace di guardare chi ci è accanto, ma ancor più chi ci è dietro o si è smarrito, provato da povertà fisiche e morali che significano tensioni famigliari, precarietà lavorativa, solitudine, malattie, che compromettono un cammino unitario a motivo della loro situazione e forse per nostra noncuranza: non si può essere assidui nelle celebrazioni religiose ed essere sordi ai lamenti che ci giungono dalla porta accanto.

Ma vogliamo allargare gli orizzonti ad una sinodalità sociale che ci faccia vivere il senso della appartenenza: sapere di camminare insieme, convinti che il bene di ognuno è il benessere di tutti. Questo è possibile in un tessuto armonico dove ciascuno per la sua parte, nell’esercizio del proprio ruolo, si pone alla ricerca del bene comune.

Nello spirito di questa sinodalità il primo compito spetta a coloro su cui grava l’impegno di guidare le sorti della nostra città, perché non si fermino ad una pur giusta, ma ordinaria amministrazione nei limiti di un servizio funzionale, ma diano grinta al loro operare, attenti a quella parte della popolazione che per molti versi ristagna ai margini del vissuto cittadino, ci riferiamo a quelle povertà emergenti che con l’evolversi delle situazioni si accrescono e prendono un volto sempre nuovo: c’è chi è in cerca di una casa, vittima di sfratto esecutivo, senza via di soluzione, perché purtroppo trova altre case vuote, ma non disponibili; c’è chi, particolarmente oggi, è alle prese con la situazione energetica a motivo di bollette non risolvibili: a tal proposito con tutta umiltà suggeriamo che sarebbe auspicabile costituire un fondo energetico là dove anche lo Stato non riesce ad arrivare. Ma auspichiamo che si abbia un occhio vigile su situazioni che si prospettano nell’immediato futuro, che già entrano in un piano operativo e che richiedono accorgimenti mirati già al presente: pensiamo a quella trasformazione industriale che si va delineando nel settore automobilistico nel passaggio dall’endotermico all’elettrico, che andrà a compromettere sensibilmente la manodopera. Sappiamo quanta dipendenza ha Modugno in questo settore. E’ dunque una situazione – ci permettiamo di suggerire – che merita di proporsi al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), per prevenire disagi successivi.

Ma va ricordato a tutti che l’operato della pubblica autorità non si sostituisce alla responsabilità di ciascun cittadino. La sinodalità a cui facciamo riferimento non ammette deleghe: o si procede uniti o si affonda. I limiti della pubblica autorità devono portare ognuno ad un cammino virtuoso, libero da egoismo o disimpegno, facendosi carico di quella sussidiarietà capace di guardare più in profondità in quegli angoli oscuri dove solo l’occhio attento di ciascuno può arrivare.

Sono questi i desideri che auspichiamo e che quest’oggi affidiamo a San Nicola. A lui non chiediamo la soluzione dei nostri problemi, ma piuttosto che tocchi il nostro cuore ad una sincera sinodalità per poterli risolvere”.

La devozione popolare verso san Rocco e san Nicola da Tolentino.

Uno degli appuntamenti più attesi della nostra città è certamente quello di fine settembre, – quest’anno anticipato per ragioni elettorali – quando si celebra la festa dei santi Patroni, san Rocco da Montpellier e san Nicola da Tolentino. Nella circostanza, fede e tradizione danno vita ad un evento che unisce tutta la nostra comunità.

L’inizio del culto di san Rocco, a Modugno, non è documentato da fonti dirette; quello che certamente è riconducibile a san Rocco, però, è la costruzione della chiesa di san Sebastiano (ora dedicata all’Assunta) avvenuta durante la peste del 1535. Sappiamo infatti che il culto di san Sebastiano era sempre stato associato a quello di san Rocco perché, entrambi, furono invocati durante la pestilenza. La presenza della chiesetta intitolata a san Sebastiano costituisce, quindi, una prima testimonianza, sia pure indiretta, dell’avvio del culto di san Rocco nella nostra città, grazie anche al contributo, offerto in tal senso, dai frati cappuccini che si insediarono nel loro convento all’inizio del Seicento. Per risalire alle notizie riguardanti l’adozione di san Rocco, quale «protettore» della città di Modugno, bisogna far riferimento a due importanti documenti: alla Cronaca sulla peste del 1656 di Vitangelo Maffei, che lo associa a san Pietro Martire e san Nicola da Tolentino, e dalla Cronaca sui fatti del 1799 di Giambattista Saliani che lo associa, invece, soltanto a san Nicola da Tolentino.

Per quanto riguarda quest’ultimo, invece, i contorni della vicenda sono meno nebulosi grazie ad una documentazione che chiarisce ogni aspetto legato alla «scelta del protettore», avvenuta nel 1749. La documentazione a supporto è stata reperita presso l’Archivio Diocesano di Bari e costituisce anche la prova della partecipazione del popolo riguardo alla devozione verso i Santi, nel chiedere il loro patrocinio. Con delibera del 15 maggio 1749, l’Università di Modugno proclama san Nicola da Tolentino patrono principale della Città.
Dalle notizie storiche risulta che a Modugno la festa patronale di san Nicola da Tolentino si è celebrata il 10 di settembre, sino al 1860. Con l’Unità d’Italia i rapporti tesi tra lo Stato e la Chiesa ebbero ripercussioni anche nei confronti dei Comuni e pertanto anche la cerimonia della «consegna delle chiavi» fu osteggiata.

La situazione cambiò dopo i Patti Lateranensi del 1929. A Modugno fu la «Confraternita di san Nicola» a riprendere, dopo il 1860, i festeggiamenti per il principale patrono che si tennero, per diversi anni, nel mese di ottobre in forma molto rimaneggiata.

Nel 1952 don Nicola Milano, nominato arciprete di Modugno nel 1946, unificò i festeggiamenti di san Rocco e san Nicola fissandoli, rispettivamente, nell’ultima domenica di settembre e al lunedì successivo, promuovendo quindi la tradizionale cerimonia della citata «consegna delle chiavi» nell’ambito della festa di san Nicola.


 

Le fonti storiche sono state reperite dalle seguenti pubblicazioni:

«San Rocco e San Nicola da Tolentino patroni della città di Modugno», a cura del prof. Raffaele Macina, Edizioni Nuovi Orientamenti, luglio 2018;

«La scelta del protettore di Modugno», supplemento al n. 3, 1982 della rivista «Nuovi Orientamenti» (con il patrocinio del Comitato Feste Patronali), a cura del mons. Michele Ruccia.

Per eventuali approfondimenti entrambe le pubblicazioni sono reperibili attraverso i link di seguito indicati.

[2018] San Rocco e San Nicola da Tolentino
[1982] La scelta del protettore di Modugno [1749]

17 settembre 1493

Giovanni Maleno di Rossano, capitano di Modugno

Essendo vacante il posto di capitano a Modugno, il governatore del Ducato di Bari sollecita Ludovico il Moro ad una tempestiva decisione. Poco dopo viene nominato capitano di Modugno messer Giovanni Maleno di Rossano.

16 settembre 1848

Muore a Modugno Domenico Martino

Muore a Modugno Domenico Martino, che era stato gravemente ferito dall’esercito borbonico nell’assedio di Messina durante insurrezione siciliana che si ebbe all’inizio di quell’anno. Il Martino faceva parte del I Battaglione Cacciatori dell’esercito borbonico.

10 settembre 1943

I reparti delle forze alleate si stanziano nel bosco di Modugno

Arrivano a Modugno diversi reparti alleati, soprattutto inglesi e americani, che si stanziano nel bosco. Durante la loro permanenza si registrano nella città episodi di violenza e di abuso sulle donne, soprattutto ad opera di soldati americani.

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