Month: Luglio 2017

E la giustizia vigila sul nuovo Regio Governatore


Editoriale a firma del prof. Serafino Corriero:

Nella nuova sede del Sindaco (dott. Nicola Magrone) una scritta del ’500 ammonisce ad essere un governante giusto e benevolo.

Dall’ottobre 2016, a seguito dei lavori di ristrutturazione del Palazzo Santa Croce, sede storica del Comune di Modugno, il Sindaco in carica, Nicola Magrone, ha trasferito il suo ufficio, a tempo indeterminato, al 2° piano del rinnovato palazzo cinquecentesco di via Vito Carlo Perrone, già denominato “della ex-Direzione”, ma ora, per decisione degli attuali amministratori, detto “Palazzo La Corte”, e infine, sulla base di una accurata ricerca storica condotta dal prof. Raffaele Macina, e pubblicata su questo stesso numero, prossimo – si spera – ad essere definitivamente rinominato come “Palazzo del Regio Governatore”. Perché questo palazzo, il più antico fra i palazzi pubblici della città, tra il 1578 e il 1806 ospitò effettivamente il Governatore della città regia di Modugno, nominato direttamente dal governo centrale del Regno di Napoli, e proprio qui ha voluto insediarsi il sindaco Magrone, forse an- che suggestionato dalla sacralità storica del luogo. Sta di fatto che, al primo piano di questo palazzo, proprio sotto il suo ufficio, si trova quello che doveva essere il salone di rappresentanza del Governatore, dove, su una parete, in alto, campeggia un affresco molto bello raffigurante un’allegoria della Giustizia, rappresentata in figura di giovane donna coronata che, seduta tra due leoni, regge con la mano destra una lunga spada levata in alto e con la sinistra una bilancia a due coppe perfettamente equilibrata: immagine del tutto coerente con la personalità del sindaco Magrone, già pretore, procuratore e giudice presso varie sedi giudiziarie italiane. Ma sta di fatto anche che, in testa e ai piedi della leggiadra fanciulla, lo sconosciuto autore del dipinto, per chiara volontà del committente, ha pennellato anche due epigrafi in parte mutile (ma ricostruite e interpretate da chi scrive), il cui contenuto invece sembra che non si addica molto all’attuale rappresentante del potere politico e amministrativo locale, che può ben essere considerato una sorta di moderno “regio governatore”. La scritta in alto, per cominciare, che si estende per tutto il lato del riquadro, recita infatti così: “Libere sperate in me omnis congregatipopuli (Fiduciosamente sperate in me, voi tutti popoli comunque associati). Si tratta di una parafrasi e amplificazione del versetto 9 del Salmo 61, che, nelle parole attribuite al re Davide, si rivolge al popolo d’Israele, e che qui invece viene esteso ad ognuna delle “associazioni di popolo” che intendono affidarsi alla protezione divina (e, in subordine, nel nostro caso, a quella del Governatore). E tale benevola sollecitazione doveva essere molto diffusa nel Regno di Napoli almeno a partire dal ’500, se la si ritrova – o la si ritrovava – all’ingresso della cappella del beato Gaetano nella chiesa napoletana di S. Paolo Maggiore, così come indicato nel “Supplimento a ‘Napoli sacra’ di don Engenio Caracciolo”, di Carlo de Lellis, edita nel 1654. Ebbene, si può dire che la “congregati populi Me-dunensis possa fiduciosamente sperare nell’aiuto e nella protezione del sindaco Magrone? Non pare, visto che, dopo le politiche anche troppo concilianti delle passate amministrazioni (in particolare, quelle di Pino Rana), l’attuale governatore della città ha aperto nel corso dei suoi mandati, a torto o a ragione, una serie numerosa di contestazioni, contenziosi e conflitti con diversi settori della società modugnese, dalle associazioni che occupano locali di proprietà comunale ai commercianti del mercato settimanale; dai residenti di via Salvo d’Acquisto, inviperiti per il mancato spostamento del mercato, ai commercianti e residenti della nuova Piazza Umberto; da tutti gli amministratori succedutisi negli ultimi 12 anni (chissà perché non anche quelli di prima), ai 13 consiglieri comunali dimessisi il 22 agosto 2014, che, conia loro “oltraggiosa fuga”, determinarono lo scioglimento del Consiglio Comunale e la fine della prima giunta Magrone); dai gestori delle piscine comunali, chiuse ormai da più di un anno, alla Tersan Puglia, che lavora i rifiuti organici di mezza provincia, ma non quelli di Modugno; dai dipendenti comunali che osteggerebbero le sue iniziative, ai funzionari del Comune poco inclini alla pronta obbedienza, qualcuno dei quali, addirittura, pubblicamente accusato e denigrato sulla pagina facebook del Sindaco. E che dire del conflitto, anzi, della guerra, proclamata in nome della legalità contro tecnici e operatori delle costruzioni, indotti a cortei e manifestazioni pubbliche di protesta contro il blocco sostanziale dell’edilizia nella nostra città? “Libere sperate in me…”! L’altra epigrafe, poi, posta in un ovale ai piedi della Giustizia, contiene un testo più complesso, ed anche più ricco di contenuti educativi per un amministratore pubblico. Essa, infatti, recita così: “Iustitia, quae natura fuerant communia, distribuii unicuique suum principi, populo patribusque tri bums’ (La giustizia, i beni che per natura erano stati comuni, li distribuì, a ciascuno attribuendo il suo, al principe, al popolo e ai nobili). L’aforisma consta di due, o forse di tre parti. La prima riprende un concetto presente in Cicerone, il quale, nel suo De Officiis (I, 21), sostiene che non esistono beni privati “per natura”, ma che i beni privati discendono dalla passata distribuzione dei beni “che erano stati per natura comuni”, per cui “quella parte che a ciascuno toccò in sorte, ognuno se la tenga; e se qualcuno bramerà impadronirsi di qualunque bene (già assegnato), violerà il diritto dell’umana società”. Insomma, emerge in Cicerone (e nel diritto romano) una forte difesa della proprietà privata comunque costituita, “o per occupazione di luoghi disabitati, o per conquista”. La seconda parte della scritta stabilisce l’obbligo, che è proprio della Giustizia, di “assegnare a ciascuno il suo”. Anche questo ammonimento si trova in Cicerone (De natura deorum, III, 15); ma poi, ripreso dal grande giurista romano Eneo Domizio Ulpiano (II-III see. d. C.), è passato, attraverso le Insitutiones di Giustiniano, imperatore bizantino del VI secolo, nel corpo del diritto moderno, sia civile che ecclesiastico (“unicuique suum è anche il motto che campeggia sotto la testata de “L’Osservatore Romano”, il giornale del Vaticano). La terza parte, infine, amplifica e precisa chi sia questo “ciascuno”, individuandolo nelle tre componenti costitutive della società europea fino alla Rivoluzione Francese: il principe, il popolo, i nobili. Al fine, dunque, di garantire l’armonia sociale e la pratica del buon governo, a ciascuno di questi la Giustizia, ovvero chi la esercita sulla base di un mandato sovrano, deve assicurare ciò che gli spetta. E allora il sindaco Magrone, che oltretutto è un uomo di legge, rifletta ogni mattina, quando arriva nel suo ufficio, su queste parole, e si sforzi di “dare a ciascuno il suo”, di riconoscere a se stesso (il principe) l’autorità del governo cittadino, ai semplici Modugnesi (il popolo) una serena vivibilità quotidiana (gli uffici, il traffico, il mercato, la Fiera, la piscina, i locali per le Associazioni benemerite), ma anche ai “nobili” (i commercianti, gli artigiani, gli ingegneri, i costruttori) la possibilità di lavorare onestamente. E se questi ultimi chiedono insistentemente di essere ricevuti ed ascoltati per esporre le ragioni del loro disagio (e quelle di mezza città), faccia il principe giusto e benevolo, non il giustiziere, e li riceva, finalmente! “Unicuique suum… ”.

Chiesa di san Pietro o di san Felice? Balsignano orfano dei suoi “padri”

Due lettere dei nostri Lettori

Anno XXXIX  N. 165 Luglio 2017
Lettere al direttore

Carissimo professor Macina,
sono Annapaola Bianchi, una bambina di 10 anni che frequenta la classe 5A del II Circolo Didattico “A. Moro”. Ricordo che durante la visita guidata da lei fatta alla nostra classe al complesso di Balsignano mi si è posto un dubbio: come mai la Chiesa di San Felice viene anche denominata Chiesa di San Pietro in Balsignano? Aspetto con gioia il momento in cui potrò ripetere questa bellissima esperienza assieme ai miei amici di classe, alle maestre e con la sua guida esperta e saggia. Cordiali saluti, carissimo professor Macina!
Annapaola

 

Cara Annapaola,
capisco il tuo dubbio, soprattutto perché ogni tanto c’è qualcuno che denomina la bella chiesa romanica “Chiesa di San Pietro”. Mi è capitato spesso nel passato di ascoltare tale denominazione anche da alcuni Assessori alia Cultura; l’anno scorso un esponente dell’attuale Amministrazione ha dichiarato in una scuola che un problema da risolvere è come chiamare la chiesetta in questione: di San Pietro o di San Felice?.
Ebbene, cara Annapaola, non c’è alcun problema da risolvere: la chiesa con cupola a tamburo si chiama “Chiesa di San Felice”. Sino al 1932, però, veniva denominata “Chiesa di San Pietro”, perché la si confondeva con una chiesetta vicina, che sta al di fuori del casale, esattamente al quadrivio che precede il fondo, dove insiste ancora la casetta medievale, dalla quale – ricorderai – abbiamo incominciato la visita guidata. Anche Emile Bertaux, lo storico francese che venne a Balsignano all’inizio del Novecento, la denomina “Chiesa di San Pietro”. Giuseppe Ceci, però, autore di un saggio magistrale su Balsignano, riuscì a consultare presso l’Archivio di Stato di Napoli diverse pergamene antiche sul nostro casale e se ne accorse dell’errore e della confusione. Da allora la nostra bella chiesa con cupola estrados- sata – ricordi questo temine? Lo abbiamo spiegato più volte? – è stata chiamata da tutti gli storici “Chiesa di San Felice”. E meno male che Giuseppe Ceci riuscì a consultare queste pergamene e se ne accorse della confusione con la chiesetta del quadrivio, che, peraltro, è di età moderna e non ha nulla di romanico, perché quelle pergamene non sono più consultabili: esse, infatti, andarono bruciate durante un bombardamento del 1943 su Napoli, che distrusse un’ala dell’Archivio di Stato. C’è, poi, da fare un’altra considerazione che giustifica la dedicazione della chiesetta a San Felice, uno dei primi martiri cristiani, il cui culto è assai diffuso in tutta la Campania, e particolarmente nella provincia di Caserta, nella quale si trova Aversa. Ora, noi abbiamo detto nella visita che Balsignano fu donato all’abbazia benedettina di San Lorenzo di A versa. È logico, quindi, che quando i benedettini, che vennero nel nostro casale, fecero costruire la chiesa, la dedicarono al santo più venerato del territorio da cui provenivano. Spero di aver risolto il tuo dubbio e se vuoi ritornare a Balsignano, potresti ritornare con una bella preparazione sul nostro casale, perché, ad esempio, potresti frequentare il corso che faremo in settembre su di esso.

Raffaele Macina


 

Caro direttore,
per un semplice dovere di cronaca, da affezionata lettrice della rivista, sento la necessità di sottolineare, una volta in più, il quarantennale contributo offerto da “Nuovi Orientamenti”, al fine di tenere sveglia l’attenzione delle Soprintendenze e degli organi istituzionali competenti su un sito rimasto per decenni in piena decadenza e totale degrado. Basti rileggere il numero 99 (luglio/2001) per avere un’idea chiara delle vibranti sollecitazioni con le quali il prof. Macina scriveva, documentava e denunciava l’oltraggio che frequentemente il Casale subiva (come la sparizione di preziosi capitelli ed ornamenti architettonici), perpetrato da abili predoni di opere d’arte, al fine di “abbellire” case forse importanti da un punto di vista strutturale, ma totalmente prive di alcuna valenza storico-architettonica. Oltretutto, l’atto di scardinare quei preziosi ornamenti provocava il conseguente crollo delle restanti parti, ridotte, in alcuni casi, a semplici ammassi di pietre. Nei suoi quarant’anni di “servizio”, “Nuovi Orientamenti” ha dedicato pagine e pagine al sito, citando le proposte nate e “dimenticate”, ed invitando coloro che ne avevano il potere ad evitare ulteriori indugi, prima che potesse accadere “l’irreparabile”. E poi, come non citare gli studi, le ricerche, le visite guidate, i convegni, le iniziative ed i sopralluoghi, intesi come strumenti messi in campo dal prof. Macina per informare, sollecitare e sensibilizzare? Si sono mosse, nel tempo, autorevoli ligure di docenti universitari, impegnate in una continua ricerca sulla storia del Casale, giunta, grazie al ritrovamento di alcuni reperti, anche all’estero, come Inghilterra e Stati Uniti. Proprio grazie a questo tenace impegno, si è ottenuto il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti! Lo scorso 26 novembre, il Casale di Balsignano è stato ufficiai mente inaugurato alla presenza di ligure istituzionali locali, soprintendenti della Città Metropolitana di Bari ed esperti di comunicazione, ma su questa selezionata scelta di presenze, “spiccava” l’assenza di un nome facilmente individuabile: quello del prof. Macina, meritevole, a pieno titolo, di essere definito “padre” di un Bene che, in quel 26 novembre, risultava “orfano” di chi ne aveva seguito, passo dopo passo, tutte le fasi, dalla decadenza alla sua lenta rinascita. Oggi Balsignano rientra nei Piani di Studio di Scuole extraterritoriali, come la scuola media “Renato Imbriani” di Bari (Gazzetta del Mezzogiorno del 16 maggio u.s.) e, ancora prima, (26 aprile 2017) lo stesso quotidiano dedicava un’intera pagina alle “Giornate Nazionali dei Castelli” (13-14 maggio 2017), nel cui titolo Balsignano veniva definito “Portabandiera” della Puglia. Un ottimo risultato, certo: ma in questo “mare che finalmente si muove”, un piccolissimo riferimento non era forse naturale, scontato e doveroso farlo? Ereditare e continuare, è sicuramente positivo, ma iniziare e perdurare costa molto di più. E questo va ricordato!

Lettera firmata

Gentile Signora,

in questi mesi abbiamo ricevuto diverse testimonianze come la sua, ma, d’accordo con chi ce le ha inviate, non abbiamo pensato di pubblicarle. Lei, invece, ha insistito molto perché la sua riflessione fosse presente in questo numero. A noi importa poco se chi siede momentaneamente sugli scranni del Palazzo ignori il nostro impegno culturale e civile: è accaduto tante volte nel passato, accade oggi, accadrà nel futuro. Chi gestisce il potere, indipendentemente da quello che proclama, non ha bisogno di uomini liberi, ma di soggetti da collocare nella sua corte.
Certe cose si fanno perché si sente che è giusto farle: è giusto farle soprattutto per le nuove generazioni, che, in questa società sempre impegnata nella rimozione delle radici delle nostre tradizioni e della nostra cultura, avranno, forse, con Balsignano, una sollecitazione in più ad essere sensibili verso la bellezza e la nostra storia. Questo è importante. Ed è importante che il nostro impegno per Balsignano continui, come dimostrano la ripresa dell’antica tradizione della seconda domenica di maggio, di cui parla Caterina Sassi nelle pagine precedenti, e le numerose visite guidate che abbiamo promosso in piena autonomia sia con le scuole sia con gruppi, persino di studiosi, provenienti da Bari e provincia. Abbiamo avuto, fra l’altro, il privilegio di fare una visita guidata alla prof, ssa Adriana Pepe, già titolare della cattedra di Storia dell’Arte alla facoltà di Lettere dell’Università di Bari, che, a partire dagli anni Ottanta, è intervenuta sulla nostra rivista, proprio su Balsignano. Noi di “Nuovi Orientamentf, forti soltanto del nostro volontariato, non possiamo non nutrire un po’ di orgoglio per aver dato il nostro contributo alla scrittura di una pagina di storia della città di Modugno, a cominciare dai primi anni del nostro impegno, quando eravamo considerati dei marziani, che “andavano fi la domenica a parlare con le pietre” E la storia nessuno la può cancellare!

Raffaele Macina

La festa di Balsignano rivela il sapere del popolo

Le testimonianze sulle pericolose piene dei torrenti Lamasinata, Picone e Valenzano risalgono al XVI secolo

Anno XXXIX N. 165 Luglio 2017
Giovanna Longo Crispo

Esiste un’attività di produzione culturale della collettività la quale crea, conserva, tramanda e rinnova una serie di valori pratici, etici ed estetici che, se in grado di resistere all’azione livellatrice del progresso, rappresentano un patrimonio specifico di una cittadinanza, identificabile nella cosiddetta ‘saggezza popolare’. La manifestazione più evidente di tale attività è quella “tradizione popolare”, generalmente vissuta attraverso festeggiamenti che, peccando in semplificazioni funzionali al gradimento di un pubblico sempre più vasto e meno coinvolto, risultano privati del loro significato originario che, in molti casi, era quello di rammentare eventi particolari, rinnovando emozioni scolorite nei meandri della memoria.
La trattazione di questi temi merita un approccio interdisciplinare, e l’esistenza di cattedre di Storia delle Tradizioni Popolari, approfondimenti nell’ambito della geografìa economica ed allestimenti tematici presso Musei anche nazionali, attesta l’interesse per quella che gli anglo- sassoni, con il termine Folklore, hanno definito il sapere del popolo.
Studi accademici hanno evidenziato, nel mondo rurale, la ripetizione, il trasferimento e il successivo adattamento in particolari occasioni di feste che avevano in passato lo stesso od altri significati celebrativi; è il caso dì ricordare le tante ricorrenze di inizio anno o di primavera che, accompagnate da forme rituali, spesso miravano ad eliminare il male accumulatosi nel periodo precedente e a propiziare il bene per il periodo di cui quel giorno segnava l’inizio; tuttavia, ritengo che sarebbe un errore credere che tutte le manifestazioni rimontino ad una favolosa antichità, specialmente nella nostra città dove, per almeno due casi, è possibile stabilire una data di inizio ed una motivazione in modo abbastanza preciso, trattandosi dì riti di ringraziamento per uno scampato pericolo. A tal proposito, meritevole di rilievo è il tentativo di recupero della memoria che si è sperimentato a Modugno il 14 maggio scorso, riproponendo un momento religioso le cui ultime testimonianze risalgono pressappoco agli anni Cinquanta. Riporto qui di seguito le parole del professor Raffaele Macina, promotore dell’evento e, soprattutto, testimone oculare di una delle ultime celebrazioni della ricorrenza in questione: «Si narra di festeggiamenti che si svolgevano nell’antico casale medievale in onore di Maria SS.ma di Balsignano, in ricordo del ritrovamento miracoloso nella vicina Lama Lamasinata del quadro della Madonna che, sempre secondo la tradizione, avrebbe salvato Balsignano e Modugno da una pericolosa alluvione. Probabilmente la dedicazione della chiesa, che si trova nella corte interna del castello, è in qualche modo legata al ritrovamento del quadro, che fu oggetto di una diffusa venerazione. Il quadro veniva portato in processione da Balsignano a Modugno, dove veniva collocato, forse, nella Chiesa Matrice per la sua venerazione, e poi veniva riportato a Balsignano, dove veniva riposto sull’altare, non più presente, della chiesa di Maria Santissima di Balsignano»

Balsignano, a due passi da Bari, uno scrigno da svelare

“Ciao Cristina, se tuo padre organizza una visita al sito di Balsignano avvisaci, così veniamo. Ho visto su Facebook che lui ha curato la sua riscoperta” (messaggio a Cristina Macina del 27 novembre 2016.).

Anno XXXIX N. 165 Luglio 2017
Gabriella Case

Un messaggio ad una cara collega e amica. Avevo visto al Tg3 regionale un servizio sulla riapertura del sito di Balsignano, di cui non sapevo assolutamente niente. Però quella cupola del Tg3 io l’avevo già vista da qualche parte… Illuminazione! E sul profilo del padre di Cristina, il professor Raffaele Macina. Di qui il messaggio all’amica, la sua attivazione presso il papà e l’aggregazione di una simpatica ed eterogenea comitiva di amici, conoscenti, grandi e piccini che alle 10,10 di una domenica di dicembre bellissima, tersa, calda, si sono radunati attorno al professor Macina per essere guidati da lui nella scoperta e nella esplorazione di questo gioiello della storia di Modugno e della Puglia. Senza nessuna retorica, il professor Macina ha saputo guidarci ad attraversare le mura fortificate di questo insediamento, ci ha spiegato gli aspetti architettonici della fantastica chiesa di San Felice, collegandoli e inserendoli nella dimensione spirituale, storica, filosofica dell’epoca di costruzione. Con fare da “maestro” ha saputo interessare i molti bambini e ragazzi presenti. La vergine e martire Lucia, con gli occhi nella brocca rappresentata nell’affresco realizzato con la tecnica della scuola di Simone Martini, è diventata, per qualche istante, la protagonista di un piccolo “horror movie”, che ha attratto la fantasia dei ragazzi, così come la mano nella chiave di volta di San Felice è stata al centro di una riflessione molto articolata e dettagliata. Alla fine siamo entrati tutti nella corte del Castello, e la comitiva si era nel frattempo arricchita di persone che sono state attratte dalla narrazione del professor Macina e lo hanno seguito fino in fondo. Alle 13 si è conclusa la visita. Eravamo stanchi, e qualcuno anche un po’ affamato, ma eravamo realmente sazi di queste bellezze. Balsignano recuperata è sicuramente una gioia per tutti, ma sicuramente per il professor Macina è qualcosa di più. E lo ha dimostrato perché ci ha trasmesso tutta la sua passione per il singolo aspetto di ogni pietra e per il suo complesso. Una passione per questo sito che egli ci ha detto essere nata nella sua adolescenza, il tempo delle passioni e delle scelte di vita, che lo ha accompagnato e che ha assunto via via una dimensione di maggiore profondità. Alla fine di questa visita alcune mie riflessioni. Conservare, ricordare, recuperare, osservare, trasmettere sono verbi che ogni cittadino deve sempre coniugare. Solo la tenacia di determinate persone ci consente ancora di ammirare questa bellezza recuperata e che altrimenti sarebbe rimasta solo un cumulo di pietre. Camminare insieme con le diverse generazioni. In questa visita c’erano bambini, genitori, nonni. È bello che le occasioni culturali, nel senso più autentico del termine, siano vissute da tutti, insieme, senza creare la ghettizzazione delle attività per piccoli e quelle per anziani. La bellezza e la sua scoperta sono assolutamente intergenerazionali.
La bellezza e la competenza sono centripete. Molti amici di Cristina hanno aderito all’iniziativa per la bellezza del sito e per la competenza del professor Macina. La nostra Puglia è piena di bellezza e ci auguriamo che si riempia di competenze che riescano a illustrare adeguatamente quella bellezza. Anche in termini di occupazione e sviluppo del territorio.
Coltivare l’amicizia. Sono felice e anche un po’ orgogliosa che tutta questa bella giornata sia partita da un SMS che ho mandato ad un’amica. Insieme è possibile rendere più bella e felice una giornata. Condividere la bellezza è ancora più bello che viverla da soli.

Ritorna a Balsignano l’antica tradizione della seconda domenica di maggio

La Parrocchia Sant’Agostino e la rivista “Nuovi Orientamenti” in collaborazione col Comune di Modugno, hanno fatto rivivere l’antica tradizione del miracoloso ritrovamento del quadro di Maria SS. di Balsignano

Anno XXXIX N. 165 Luglio 2017
Caterina Sassi

Il tepore primaverile di un pomeriggio domenicale, una data inconsueta nella normale programmazione della rivista Nuovi Orientamenti e della Parrocchia Sant’Agostino, ed un sito, non ben impresso (ahimè!) nella memoria “distratta” dei Modugnesi, sono stati gli elementi di richiamo per rincontro che si è svolto domenica, 14 maggio, presso il Casale di Balsignano, realizzato in collaborazione col Comune di Modugno. Tanti i presenti, alcuni giunti anche da fuori città, da sempre affezionati lettori della rivista, che si ritrovavano in un luogo ameno, per assistere ad una cerimonia che, ad una prima occhiata, appariva come una festa campestre, ma che, in realtà, consisteva nella rievocazione di un antico rito che, fino agli anni Cinquanta, si svolgeva proprio in quel Casale, nella seconda domenica di maggio, in concomitanza con l’arrivo della stagione primaverile e la raccolta delle ciliegie. Un servizio d’ordine efficiente, il percorso verso l’ingresso ben tracciato e, passo dopo passo, gli ospiti giungevano nella corte antistante la chiesetta di Maria Santissima di Balsignano, all’interno del Casale.
Lo spazio d’accoglienza, tipicamente agreste, consentiva ai presenti di posizionarsi come meglio credevano: chi su ampi gradoni in pietra, chi sulle poche sedie disponibili, altri, infine, impegnati in un continuo andirivieni, determinato dal piacere di “essere”, finalmente, all’interno di un sito, definito “monumentale” da tanti illustri studiosi (qualcuno anche straniero), ma, purtroppo, poco conosciuto dagli stessi Modugnesi.
Nella zona centrale della corte, ben protetta da una robusta cinta muraria, era allestito un altarino ed accanto, in posizione prominente, un cavalletto che sosteneva un grande quadro, ricoperto da un candido telo.
L’atmosfera, come sempre, esprimeva una cordialità non apparente tra amici di vecchia e nuova data, che si incontravano in un luogo spoglio nella sua nuda essenzialità, ma ricco di una storia millenaria, faticosamente sottratta all’oblio del tempo, grazie ad un lungo e tenace lavoro di studio-ricerca condotto, in prima persona, dal direttore di Nuovi Orientamenti, prof. Macina, e poi, come egli stesso ha scritto nel precedente numero della rivista (aprile 2017), da un “impegno di squadra” che ha coinvolto soggetti dotati di competenze e ruoli specifici, con assoluta gratuità e generosità! Un luogo che è, come direbbero alcuni, un “Miracolo del Tempo”, in un felice connubio fra natura, storia, cultura e religione.
Ultimi minuti di attesa e, alle 18,00 in punto, il prof. Macina rivolge ai presenti il suo saluto e le seguenti parole di benvenuto: ’’Questo pomeriggio si realizza un desiderio custodito, per decenni, dentro di me”; una frase che, nella sua apparente sinteticità, esprime un vissuto molto personale, quasi sofferto, all’interno di un progetto di studio, ricerca, sensibilizzazione e progettazione per il recupero di un autentico gioiello storico-artistico del nostro territorio, qual è, appunto, il Casale di Balsignano.
L’incontro di quel pomeriggio domenicale era, infatti, strettamente collegato ad un’antica leggenda di quel luogo, raccolta alla fine degli anni Settanta dalla viva voce di un anziano contadino. Si narra, in essa, del ritrovamento di un quadro con l’immagine della Madonna, nel corso di una fra le più frequenti calamità naturali che colpivano un tempo alcune zone della nostra regione. Si trattava delle cosiddette “méne”, corsi d’acqua violenti a carattere torrentizio che, scendendo dalle colline murgiane in seguito a piogge eccezionali, trovavano il loro “letto” naturale nelle “lame”, lunghi solchi del terreno, entro cui confluivano questi impetuosi corsi d’acqua, prima di raggiungere il mare.
Fu proprio nell’autunno di un anno imprecisato che la pioggia cadde copiosa ed ininterrotta per giorni e giorni: nei campi il livello dell’acqua continuava pericolosamente a salire, mentre i contadini assistevano, impotenti, alla furia devastante della pioggia che, impietosamente, travolgeva seminati e coltivazioni.
Un mattino, uno di essi, mentre si aggirava tristemente nella zona adiacente il Casale, in un mare di fango, notò qualcosa che affiorava appena da un cespuglio poco distante: incuriosito, vi si avvicinò cautamente e, con grande meraviglia, si accorse che si trattava di un quadro che incorniciava il volto di una Madonna. Si accorse anche, quel contadino, che, nonostante il fango ed il materiale di risulta che la forza dell’acqua trascinava con sé, il quadro era completamente asciutto.
Con stupore misto a commozione, gridò al miracolo e poi, stringendolo fra le braccia come una reliquia, corse verso la chiesetta, all’interno del Casale. Giunsero dai dintorni altri contadini e si recitarono preghiere e invocazioni. Si decise, infine, di portare in processione l’immagine fino a Modugno, affinché il miracolo fosse reso noto a tutti. Poi, sempre in processione e fra incessanti preghiere, il quadro fu riportato nella chiesetta di Balsignano. La leggenda narra che, durante quelle ore di concitato stupore, le nuvole minacciose e plumbee, che da giorni incombevano nel cielo e, soprattutto, nell’animo di quei poveri contadini, improvvisamente scomparvero, lasciando totalmente spazio al sereno. Il ritrovamento del quadro e la concomitante, provvidenziale, cessazione di quella calamità, fornirono la certezza dell’avvenuto miracolo che fu ricordato, fino agli anni Cinquanta, con la celebrazione di una messa e l’allestimento di un Albero della Cuccagna al centro della Corte, nello stesso posto in cui, il 14 maggio, si è inteso realizzare la rievocazione del miracolo.
Al contadino, autore di quel ritrovamento, fu attribuita, in segno di gratitudine, la nomina, per così dire “istituzionale”, di Sìndeche de Valzegnene.
La storia di quel quadro, tuttavia, non finì lì perché (non è dato sapere quando) le fiammelle delle candele votive, forse troppo ravvicinate alla cornice dello stesso, provocarono un incendio che distrusse completamente l’effìgie della Madonna.
Concluso questo primo momento, non sarebbe azzardato, afferma il prof. Macina, attribuire un ruolo più significativo al culto della Madonna di Balsignano, che esprime un culto verso la Madre di Dio, nato e sviluppatosi nel nostro territorio in seguito ad un evento prodigioso, come accadde per la Madonna di Pompei o di Loreto!
La cerimonia, entrando sempre più nel vivo, va avanti, non senza una doverosa precisazione: del quadro distrutto dalle fiamme, non restò alcuna traccia, se non una fotografia casualmente finita, anni dopo, nelle mani del prof. Macina che, nell’ottica di una sua lungimirante progettazione su Balsignano, ha pensato di utilizzare quell’unico documento in suo possesso per creare una riproduzione artistica del volto della Madonna, in occasione della cerimonia di rievocazione del miracolo. Il compito è stato affidato a Daniela Salianl, una giovane e sensibile pittrice, che viene chiamata in causa per la presentazione della sua opera.
E, questo, il momento centrale della cerimonia: Fautrice riferisce di essersi ispirata alla iconografia mariana, soffermandosi sulla tecnica, sui colori utilizzati e, soprattutto, sul significato della postura delle mani della Madonna: la mano sinistra, poggiata sul cuore, esprime il senso più alto del “divino”, la destra, rivolta verso i fedeli, è tesa verso il basso e si rifa al “senso terreno” della vita. Il viso reclinato fa riferimento alle icone bizantine. Riguardo ai colori, Fautrice sostiene che l’azzurro chiaro del vestito e del mantello si riferisce al colore del cielo, mentre la tonalità più intensa dello sfondo indica lo Spirito Santo che veglia su di noi. Infine, le spirali che si intravedono lateralmente, sottintendono le speranze da noi riposte nella misericordia della Vergine. Dopo la cerimonia, il quadro è stato donato alla Parrocchia di S. Agostino.
Il momento successivo ha visto la celebrazione della Messa, officiata da don Luigi Trentadue, con accompagnamento del coro parrocchiale.
È stato questo il momento del massimo raccoglimento fra i presenti: un momento sublime, che raramente si coglie quando si è a stretto contatto con gli altri. Era come se ognuno cogliesse “l’attimo fuggente” per una fuga dal frastuono della città e per un intimo momento di raccoglimento interiore. Un “attimo fuggente”, per riassaporare il gusto del silenzio, della pace e di un insopprimibile senso di libertà.
A determinare queste sensazioni, era l’atmosfera palpabile di uno spazio lontano dalla nostra quotidianità, dominato da un silenzio “voluto e non imposto”, in un luogo ricco di natura, storia e fatica umana, tanto che, nel corso della celebrazione eucaristica, mi è più volte capitato, guardando verso l’alto, di vedere il cielo, in un certo senso “più vicino” alla terra, come se il Divino e l’Umano volessero fondersi in un’unica, nuova dimensione. Una forma di autosuggestione, certo, ma che forse farà meglio comprendere quanto il contatto con la natura ed il silenzio elevi l’animo umano!
La cerimonia prosegue con l’intervento conclusivo del prof. Macina, che potrebbe spaziare all’infinito nella storia del Casale, ma i tempi non glielo consentono, per cui si sofferma sulla finalità dell’incontro, tendente a stimolare la memoria di chi, tra i presenti, possedeva, forse, solo un vago ricordo del miracolo ma, soprattutto, farlo conoscere ai giovani, verso cui egli nutre una particolare attenzione e fiducia nelle loro capacità di divulgazione e tutela dell’immenso patrimonio storico che Balsignano racchiude. Parte, quindi, dall’origine del Casale, definito “un insieme di terre coltivate ed incolte”, ubicate su “una pittoresca prominenza” a tre chilometri circa da Mo- dugno, sulla strada verso Bitritto. Spiega, poi, il significato del termine Casale, inteso come agglomerato di case abitate, nel passato, da poche famiglie di indigeni ma, anche, da piccoli gruppi di popolazioni costrette ad abbandonare i paesi costieri della Puglia e rifugiarsi nelle sue zone interne per sottrarsi alle violente scorrerie dei pirati Saraceni. Continuando, parla, anche, di gruppi di popolazioni provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico, come testimonianza di remote, prime forme di immigrazione da terre lontane.
Sull’origine del nome sussistono diverse interpretazioni tra cui una delle più probabili si riferisce al nome di un ricco proprietario terriero, di nome Basilio, da cui derivò la denominazione dell’antico Casale, divenuto, successivamente, un borgo, come risulta da un’antica pergamena dell’anno 962, custodita nell’archivio della Basilica di San Nicola di Bari.
Purtroppo, le incursioni saracene si spinsero, in seguito, anche nelle zone interne della Puglia ed il borgo di Balsignano, come altri sparsi intorno alla Terra di Bari, fu più volte saccheggiato. Ma la laboriosità dei contadini permise di reimpiantare campi e coltivazioni e di ricostruire chiese e case. L’unicità di Balsignano consiste nel conservare ancora molte strutture medievali, mentre gli altri casali o sono stati completamente rasi al suolo o si sono trasformati in centri urbani, come è lo stesso caso di Modugno. Balsignano viene considerato un unicum, in quanto detiene il privilegio di possedere ancora un castello, due chiese e una cinta muraria medievali. Ma tutto ciò che è emerso dagli scavi effettuati e dalle relazioni di illustri storici come Giuseppe Ceci, Vito Faenza, Emile Bertaux e scrittori come Umberto Eco, fa ritenere sia “poca cosa” in rapporto ai tesori sicuramente ancora custoditi nel grembo del Casale.

Gli ospiti ascoltavano, osservavano e scrutavano tutto ciò che, ancora, avrebbero desiderato scoprire ed ammirare tra cupole, navate, capitelli ed affreschi, ma il pomeriggio cedeva, ormai lentamente, il passo alle prime ombre della sera e la Corte, appena illuminata dalla calda luce dei pochi fari accesi, lasciava chiaramente intendere che la cerimonia volgeva al termine, ma le iniziative e Ì progetti da intraprendere sono davvero tanti ed il Casale potrà finalmente diventare un patrimonio prezioso e fruibile dall’intera comunità modugnese.

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