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Il 10 Marzo 1799, fra storia e tradizione popolare

Il 10 Marzo del 1799 viene ricordato come l'assedio di Modugno da parte di un contingente di Sanfedisti che attacca Modugno, della Repubblica Napoletana, ma viene respinto. È una ricorrenza molto sentita in quanto legata all'apparizione della Madonna Addolorata che salvò la città dall'attacco nemico. La nostra rivista, nel febbraio 1982, ha pubblicato un interessante contributo sull'argomento, a firma del prof. Raffaele Macina, che si ripropone per la sua completezza di contenuti e riferimenti. A seguire il canto popolare - "U Nevendanove" - con la traduzione in calce a ciascuna strofa. 
Buona lettura [mp]

Nuovi Orientamenti, anno IV, n. 1 – febbraio 1982

Per la ricorrenza del 10 marzo abbiamo voluto pubblicare questo bellissimo canto popolare che in modo molto sintetico e con rappresentazioni figurate di autentica poesia illustra gli eventi di quella tragica giornata del 10 marzo 1799, quando Modugno subì un tentativo di assalto da parte dei carbonaresi e abitanti di altri comuni limitrofi.
In questo modo vogliamo come rivista non soltanto dare un contributo alla conoscenza del nostro passato, ma soprattutto ricollegarci alle nostre tradizioni storiche e popolari per una loro reale comprensione finalizzata alla riappropriazione di quei contenuti che noi riteniamo indispensabili per ristabilire una identità culturale e storica della nostra città.
Il canto popolare «U Nevandanove» è ormai ignoto ai molti e soltanto qualche vecchietta ricorda la sua musicalità malinconica, ma dolce. É un vero peccato che qui possiamo presentare solo il testo del canto, perché molto del suo valore artistico, della sua serena solennità si perde quando lo si dissocia dalle sue note. La melodia di questo canto provoca in chi lo ascolta un rassicurante atteggiamento di tranquillità e quasi di sicurezza interiore e manifesta una coralità popolare di convinzioni e di partecipazione che, sia pure per un attimo, ti solleva dalla atomizzazione del nostro vivere quotidiano.

I primi versi ci presentano subito la figura di un cantastorie che si presenta per quello che è: non un poeta, né un ignorante (terragne), ma soltanto un uomo di buon senso (de buène sendeminde) che con umiltà chiede un po’ di attenzione perché possa narrare un vero evento storico. E il popolo, incapace com’è di leggere e cosciente di poter apprendere qualcosa soltanto dal cantastorie e non dagli intellettuali del tempo, si raccoglie con curiosità intorno a lui.
Dopo la sua presentazione il cantastorie comincia subito la narrazione degli eventi storici: l’assalto del 10 marzo, operato da tanti piccoli paesi (le tanda paisotte che s’eran aunì erano Carbonara, Ceglie, Loseto, Bitritto, Bitetto, Valenzano, Casamassima, Noicattaro, Gioia, Noci).
È forse qui opportuno ricordare che nel 1799 tutto il Meridione era diviso fra città che avevano aderito alla Repubblica Partenopea, instaurata a Napoli dai circoli illuministici col sostegno militare dell’esercito francese, e città fedeli alla monarchia e alla casa borbonica. Modugno insieme a Bari, Altamura e soprattutto alle città costiere della provincia, aveva aderito alla Repubblica Partenopea e pertanto era continuamente minacciata da quei paesi che invece continuavano a prestare la loro fedeltà ai borboni e a lottare per un loro ritorno a Napoli.
Il 10 marzo del 1799, quindi, gruppi armati provenienti dai paesi citati insieme a donne, vecchi e bambini, tentarono di assalire e punire la Modugno giacobina, ma soprattutto di fare il saccheggio della città per ricavarne un ricco bottino.
Il canto è assai preciso nella narrazione degli eventi storici che presenta: è vero infatti che il gruppo più numeroso degli assalitori era formato dai carbonaresi e che furono questi, con alcuni bitrittesi e bitettesi, a devastare il convento degli agostiniani.

È vero anche che nel convento degli agostiniani essi ammazzarono a coltellate quattro giovani conversi che erano rimasti lì, mentre tutti gli altri frati erano rifugiati nella città murata.
È anche vero che gli assalitori avevano un cannone, ma le cannonate che riuscirono a sparare furono sette e non quattro come dice il canto, ed è anche esatto che una di queste cannonate si conficcò in un palazzo di periferia a ridosso delle mura che si sporgevano sull’attuale via X Marzo; il canto individua lo stabile colpito nel frantoio (u trappite) che si trovava a capo della citata via e che fu poi abbattuto qualche decennio fa. Attualmente sul terreno del vecchio frantoio, i cui proprietari esercitavano la compravendita all’ingrosso di tutti i prodotti agricoli di Modugno, insiste la villa dell’ing. Zaccaro.
Infine è confermato storicamente che gli assalitori si radunarono intorno alle mura di Modugno in mattinata e che il tentativo di assalto si protrasse sino a sera inoltrata, perché, come gli stessi carbonaresi dissero poi, «li era mancata la munizione di polvere e di palle»
Se da una parte il canto si rifa agli eventi storici, dall’altra però non fa alcun cenno alle loro cause reali: non v’è alcun riferimento alla Repubblica Partenopea, ai Sanfedisti, all’anarchia del 1799, alle bande dei delinquenti, al governo repubblicano dell’Università di Modugno.
Esso presenta una situazione metastorica, si distacca cioè dal periodo storico dell’evento che vuole narrare, e illustra un fatto peculiare di Modugno che può anche non aver data o, il che è la stessa cosa, può essere collocato indifferentemente in un secolo qualsiasi c anche nel nostro secolo.
L’atmosfera dell’evento, quindi, non è scandita dal tempo, si adatta a tutti i tempi, è universale, eterna, non assoggettabile a principi e interpretazioni della ricerca dello storico, ed essa è tutta finalizzata a presentarci un fatto straordinario e miracoloso che sfugge a ogni tentativo di spiegazione razionale: l’apparizione della Madonna Addolorata, «de chedde ca mors ne volse liberaje», (di quella che ci volle liberare dalla morte), come dice il canto. E quel «ci » rafforza ancora di più l’atmosfera metastorica, eterna e perciò religiosa del canto: la Madonna Addolorata, infatti, non liberò soltanto i modugnesi del 1799, ma volle liberare anche «noi».

In questa atmosfera le motivazioni dell’evento storico diventano semplici e si colorano di moralità e di autentica religiosità popolare. L’assalto è opera dei carbonaresi che inspiegabilmente si «arrabià gondrì de li medegnise» (si arrabbiarono contro i modugnesi).
Questa semplicità popolare crea ancora la quarta strofa: «Le sa ce tutte u uavévene lu avvise», (Lo sai se tutti avessero avuto l’avviso), nessuno sarebbe stato ucciso c tutti si sarebbero salvati. I fatti non andarono così: la notizia dell’assalto la ebbero tutti, e non poteva essere che così, visto che gli assalitori incominciarono a radunar si dalle prime ore del mattino e l’assalto vero c proprio incominciò alle ore 14.00 e che ancora la devastazione del Convento degli agostiniani si ebbe a pomeriggio inoltrato.
Il tempo perché ognuno, quindi, trovasse riparo fra le mura della città vi fu, in realtà i quattro conversi uccisi furono costretti a restare nel convento, perché furono impegnati a farvi da guardia dai frati e dal priore che invece preferirono mettere la pelle al sicuro, rifugiandosi fra le mura di Modugno.
Il canto, però, ignora tutto questo che ovviamente non poteva essere inserito in quella atmosfera metastorica e di serena religiosità e presenta l’uccisione dei conversi come qualcosa dovuto soltanto alla fatalità, che assolve tutti e acquieta le coscienze. È questo un tipico atteggiamento della nostra tradizione popolare che tende sempre a porre una pace formale e un formale spirito di riconciliazione fra le diverse parti, rinunciando così alla ricerca di colpe e responsabilità.
Addirittura anche agli assalitori la quarta strofa attribuisce un formale senso del pudore: i carbonaresi uccidono sì i quattro conversi, ma non hanno il coraggio di consumare il misfatto davanti agli occhi vigili della statua di San Nicola che stava in una nicchia davanti a loro. Ed essi allora mettono un panno davanti al santo, che così non assiste al barbaro eccidio di quattro giovani seminaristi indifesi, e soltanto dopo aver compiuto questo atto di riverenza religiosa possono ammazzare.
Ed ecco finalmente l’evento straordinario che dovrà essere raccontato ad un altro paese: l’apparizione della Madonna Addolorata. La Madonna appare sul muro del frappeto, dice il canto, e si alzava e si abbassava per invogliare quasi gli assalitori a colpirla e per attirare la loro attenzione su di sè, distogliendola dall’assalto della città. Qui la mentalità religiosa popolare crea una bella immagine: la Madonna, spesso presentata dalla cultura ecclesiastica come luce e perciò stella, raccoglie nel suo manto tutte le palle di fucile e di cannone e le trasforma in stelle, simboli di luce e di pace.

La cronaca di G. Saliani presenta l’apparizione della Madonna diversamente, affermando che i modugnesi furono «visibilmente difesi dalla Vergine Santissima, e da nostri protettori San Nicola Tolentino e San Rocco, come gli stessi nemici ne fanno fede» e che gli assalitori videro su un tetto proprio vicino a un punto debole delle mura «una Signora in bianca gonna, scapigliata, col fazzoletto alle mani, avendo a lato due guerrieri armati di fucile, che andavano dal lato del tetto all’altro, alle quali, e specialmente alla suppusta donna avevano tirate più e più fucilate, ne mai era loro avvenuto di colpirla, dicendole tali, e tante parole ingiuriose, che tremo a rammentarle, non che a lasciarle scritte».
Il canto presenta l’apparizione della Madonna come fatto certo, sul quale non è possibile avanzare alcun dubbio, al pari degli altri avvenimenti di quella giornata del 10 marzo, e qui la fermezza della fede popolare, ponendosi il problema di presenti e future critiche sul miracolo, vuole demolire ogni possibile dubbio, rifiutando con pacata fermezza la tesi di quanti vollero individuare in quella donna che si « alzava e si abbassava su quel muro » una vecchia fattucchiera (masciale).
Qui la forza della convinzione popolare è così corale che bastano poche parole per liquidare la posizione di quei pochi die, con fonato animo denigratorio, hanno osato mettere in discussione l’apparizione della Madonna Addolorata. Queste poche parole esprimono un distacco profondo dell’animo popolare da quei pochi che non sono tenuti in seria considerazione e sui quali il canto stende il manto dell’anonimato, (decèrene ca iève na vecchia masciale), che esprime il massimo del disprezzo e della differenziazione popolare.
I primi due versi dell’ultima strofa, infine, riecheggiano l’atmosfera tipica del partenio che, come è noto, era un componimento lirico tanto caro alla poesia greca destinato ad essere cantato da un coro di fanciulle in onore di una dea. Infatti il canto, rivolgendosi alle donne madri, le invita a mandare in chiesa le loro figlie nubili (vacandì), che qui svolgono il ruolo delle vergini del partenio, perché onorino e chiedano perdono alla Madonna per le colpe commesse da tutta la comunità modugnese.
C’è nella chiusura del canto la tradizionale convinzione popolare che interpreta un evento funestro, nel nostro caso l’assalto del 10 marzo, come conseguenza e giusta punizione divina dei peccati commessi. Le fanciulle modugnesi, quindi, chiedendo perdono e onorando la Madonna, svolgono un ruolo sociale e religioso utile a tutta la comunità, perché intercedono la continua protezione della Madonna su Modugno, allontanando così dalla città il ripetersi di eventi funesti nel futuro.
Altamente poetica, quindi, la conclusione del canto soprattutto per l’evocazione di temi classici che sembrano quasi voler essere confermati dal costrutto latineggiarne dell’ultimo verso (de chédde ca morse ne volse liberajei).

prof. Raffaele Macina

U NEVANDANOVE

A vu signure ci adénze me date,
u nevandanove ve vogghje fa sendì,
ce nan ire pe la Madonne Addelorate,
Medugne aveva sta tutt’abbattute.

A voi signori se mi date retta,
il novantanove vi voglio far sentir,
se non fosse stato per la Madonna Addolorata,
Modugno sarebbe stato tutto abbattuto.

Nan sonde ni puéte manghe terragne,
Gesù m’a date ne buène sendeménde,
Gesù m’a date ne buène sendeménde,
pe fa sendì la storie a chissa gende.

Non sono né poeta e neppure ignorante,
Gesù mi ha dato un buon sentimento,
Gesù mi ha dato un buon sentimento,
per fare sentire la storia a questa gente.

Nuje alle dèsce de marze furema assaldate,
e tanta paisotte s’ir an aunì,
gondrì de li medegnise si arrabbià,
scennì fescenne nande a le Carnalise,
e a Sanda Jestine forene le prime accise.

Noi il dieci marzo fummo assaliti,
e tanti piccoli paesi s’erano uniti,
contro i modugnesi si arrabbiarono,
andammo fuggendo davanti ai carbonaresi,
e a Sant’Agostino furono i primi uccisi.

Le sa ce tutte u uavévene lu avvise
e povere l’aide ci forene angappate,
e povere l’alde ci forene angappate,
se ne fescèrene suse come rabbiate.

Lo sai se tutti avessero avuto l’avviso
e poveri gli altri che furono presi,
e poveri gli altri che furono presi,
se ne fuggirono sopra come cani arrabbiati.

Sanda Necole jinda nu nicchie stève
e chi nu panne nande già chemegghiare,
e chi nu panne nande già chemegghiare,
’nge ne chendarene dèsce cherteddate.

San Nicola in una nicchia stava,
e con un panno davanti lo coprirono,
e con un panno davanti lo coprirono,
gliene contarono dieci coltellate.

E a nalde pajise u uavèvene ce rechendaje,
sendite chèssà storie quande jè pelile,
sparorene finghe a quatte cannenate,
facerene lu pertuse a lu trappite.

E a un altro paese avevano di che raccontare,
sentite questa storia quant’è pulita,
spararono fino a quattro cannonate,
fecero un buco al trappeto.

Na donne ca ’nge stave sopra quel mure
e chedde ca s’alzave e s’abbasciave,
e chedde ca s’alzave e s’abbasciave,
decèrene ca ieve na vecchia masciale.

Una donna che stava su quel muro
e quella che si alzava e si abbassava,
e quella che si alzava c si abbassava,
dissero che era una vecchia fattucchiera.

Guardate quande stèlle tène jinda lu mande
e chidde ièvene le palle ce recevève,
la Madonne le recevève cu mandesine
e quande pall’avève l’ammenave ‘nzine

Guardate quante stelle ha nel manto
e quelle erano le palle che riceveva,
la Madonna le riceveva col manto
e quante palle aveva le menava in grembo.

Da la matine stèttere fing’a la sère,
mo ’ngi’arrevaje lore de vindunore,
iunì che l’alde si la trascherrève:
ame fernute la menizione.

Dalla mattina stettero fino alla sera,
quando arrivò l’ora ventuno,
uno con l’altro parlava:
abbiamo finito le munizioni.

Vu donne ce tenite le file vacandì,
mannatele jinda la chièse a cercà perdone,
’nge stù Matra Marie Addelorate,
de chedde ca mors ne volse libèraje.

Voi donne se avete le figlie nubili,
mandatele nella chiesa a chiedere perdono,
ci sta Madre Maria Addolorata,
quella che dalla morte ci volle liberare.

Disegni Amina Pepe - Ricostruzione eventi del 1799

Altare dedicato a Maria Santissima Addolorata 
Chiesa Matrice di Modugno

Buon anno 2023

La rivista “Nuovi Orientamenti” augura ai propri lettori, nonché a tutta la cittadinanza, gli auguri più sinceri per un sereno anno nuovo, sperando che possa portare pace e serenità.
Il 2023 lo dedichiamo a Tommaso Di Ciaula, con l’intento di richiamare l’attenzione sulle sue opere, così come è stato fatto con la pubblicazione del libro “Tommaso Di Ciaula tra fabbrica e poesia” a cura del prof. Serafino Corriero (Edizioni Nuovi Orientamenti, Modugno, 2022 pp. 175).
Buon anno a tutti

mp

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Le nostre rassegne tematiche

BALSIGNANO

Con questa prima «monografia» si introduce, nel nostro sito internet, la rubrica «Rassegne tematiche» dove saranno pubblicate le raccolte degli articoli riguardanti argomenti di particolare interesse.
La prima non poteva che riguardare il Casale di Balsignano, a conferma dell’attenzione che da sempre «Nuovi Orientamenti» riserva al sito archeologico, con l’instancabile impegno del prof. Raffaele Macina, direttore della rivista.
Lo scopo di tale iniziativa è duplice: da un lato non disperdere il prezioso lavoro dei redattori attraverso la digitalizzazione dei rispettivi contributi con l’archiviazione elettronica nel sito internet, dall’altro fornire ai lettori un riferimento unico per una più agevole consultazione nel tempo.
Sono in programma altre rassegne su argomenti diversi, come le nostre tradizioni, affrontate nell’ambito della rubrica «A Medugne se disce adacchessè», e sulle le nostre radici, in relazione alle quali ci si soffermerà anche sui personaggi modugnesi che in ogni tempo, ciascuno in relazione alle proprie specificità e competenze, hanno dato prestigio alla nostra città.

marco pepe

Modugno, agosto 2022

Balsignano, 2022.08

A MEDUGNE SE DISCE ADACHESSÈ

La rubrica “A Medugne se disce addacchesse (parle kome t’à ffatte màmete)” della nostra rivista, fu inaugurata con la pubblicazione n. 2 (Dicembre 1979), con un articolo del prof. Raffaele Macina.
Il tentativo fu quello di fissare, sulla base della consultazione di una specifica bibliografia, alcune nozioni e princìpi fonetici e ortografici, necessari per leggere e trascrivere il nostro dialetto.
Nel tempo questo progetto ha determinato, anche e soprattutto, il recupero di un ricco patrimonio culturale che, in gran parte, è stato possibile grazie alla ricerca costante di Anna Longo Massarelli, e di molti altri collaboratori della rivista, che hanno manifestato un profondo interesse per la nostra cultura popolare.
La monografia di 447 pagine, composta da 195 articoli, è strutturata con un indice generale per consentire una più agevole consultazione degli argomenti di maggiore interesse.
Credo non sia necessario aggiungere altro, se non un caloroso grazie per l’attenzione, con l’augurio di una buona lettura.

marco pepe

Modugno, ottobre 2022

A Medugne se disce adachessè, 2022.10

GLI EDITORIALI

Dopo quelle su “Balsignano” e “A Medugne se disce addacchesse (parle kome t’à ffatte màmete)” eccoci arrivati alla terza monografia riguardante gli editoriali pubblicati dal 1979, anno di fondazione della rivista “Nuovi Orientamenti”, fino all’ultimo numero del 2022. (Anno XLIV n. 180).
In questi quarantaquattro anni di attività gli editoriali hanno fornito numerosi spunti di riflessione su argomenti di importanza significativa, riguardanti la vita politica e sociale di Modugno, e non solo.
Sono state affrontate le vicende di Palazzo Santa Croce, attraverso le diverse Amministrazioni che si sono succedute, le interviste ai sindaci, la parentesi della Gestione Commissariale, le campagne elettorali, la questione dell’Ospedale Civile, gli avvenimenti del bicentenario 1799, e molto altro ancora.
Gli articoli a firma del prof. Serafino Corriero e del prof. Raffaele Macina, ai quali va il nostro ringraziamento, costituiscono un patrimonio della rivista che si è ritenuto giusto condividere con quanti vorranno ripercorrere gli eventi che ormai costituiscono la storia della nostra Città.
Come sempre un caloroso grazie per l’attenzione e, soprattutto, buona lettura.
marco pepe

Editoriali [1979-2022]

Pubblicato ultimo numero della rivista “Nuovi Orientamenti” n. 180 Novembre 2022

È stato pubblicato il nuovo numero della rivista «Nuovi Orientamenti». Si coglie l’occasione per invitare, coloro che non l’avessero ancora fatto, a rinnovare la quota annuale per il 2023 che, anche quest’anno, rimane invariata: € 25,00 per quella normale ed € 50,00 per quella sostenitrice (nel qual caso 25 euro saranno considerati come sottoscrizione per il Millennio).Si può effettuare il rinnovo attraverso il bollettino postale; tramite bonifico bancario utilizzando le seguenti coordinate: BANCO POSTA, intestato a Nuovi Orientamenti, codice IBAN: IT58 U076 0104 0000 0001 6948 705; presso la cartolibreria “La Bottega del libro” (Piazza Sedile, 11), presso il Centro Fotocopie di Francesco Caporusso (Piazza Sedile, 29).
E’ anche possibile contattare un rappresentante di «Nuovi Orientamenti» e fissare un incontro, telefonando ai seguenti numeri: 3284475397 (Raffaele Macina), 3334916861 (Anna Camasta), 3355915842 (Marco Pepe);
Di seguito la copertina del nuovo numero della rivista con l’evidenza del rispettivo sommario.

Buona lettura.

Tommaso Di Ciaula, fra fabbrica e poesia

“TOMMASO DI CIAULA FRA FABBRICA E POESIA”
Il quarto libro della nostra collana “I libri del Millennio”
Ieri abbiamo consegnato in tipografia tutto il materiale per la pubblicazione del libro su Tommaso Di Ciaula, il nostro poeta-scrittore che ha fatto conoscere il nome di Modugno in tanti Paesi del mondo.
Il libro, curato dal prof. Serafino Corriero, offre un quadro completo della personalità di Tommaso. Gli interventi di critici letterari italiani e di diversi Paesi europei (Inghilterra, Francia, Germania) offrono interpretazioni assai interessanti su Tommaso; vi sono, poi, numerose testimonianze sull’autore di “Tuta blu” di grandi personalità della cultura e della società italiana: Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Luciano Lama, e tanti altri ancora.
Il Libro sarà dato in omaggio ai soci-abbonati di “Nuovi Orientamenti”, che abbiano versato la quota annuale per il 2022 o a quelli che, eventualmente, vogliano abbonarsi per la prima volta quest’anno.

venerdì 7 ottobre 2022

L’omicidio, a Modugno, di Giuseppe Lacalamita

La sera del 23 settembre del 2002 Beppe Mangialardi, ragioniere di 30 anni, e la fidanzata, che sarebbe diventata sua moglie nel 2003, si trovavano lungo una strada di campagna a Modugno per vedere in privato i fuochi d’artificio della Festa Patronale: proprio qui la ragazza ha visto il suo compagno morirle davanti cercando invano di difenderla. La rivista «Nuovi Orientamenti» si è occupata del vile omicidio attraverso un interessante editoriale a firma del prof. Serafino Corriero, pubblicato nel numero n. 105 del mese di Ottobre 2002 (Anno XXIV) che si ripropone integralmente.
mp
Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Serafino Corriero
Editoriale

L’uccisione del rag. Giuseppe Lacalamita, avvenuta la sera del 23 settembre (festa di S. Nicola da Tolentino) nel corso di un tentativo di rapina ad opera di tre Albanesi residenti a Modugno, è un avvenimento che ha scosso profondamente la comunità cittadina, e che quindi ci obbliga a qualche riflessione che vada al di là dell’ambito puramente criminale nel quale esso è maturato. È evidente che episodi di tale portata vadano innanzi tutto inquadrati in fenomeni generali, o addirittura epocali (le grandi migrazioni di massa) che caratterizzano il tempo in cui viviamo, ma questo non ci esime dal ricercare anche le ragioni peculiari e le condizioni specifiche che innescano o alimentano fenomeni gravi di devianza o di criminalità organizzata. Anche perché, di fronte a questi fenomeni, una comunità, piccola o grande che sia, tende istintivamente (e sbrigativamente) a rinchiudersi in sé, individuandone le responsabilità solo in fattori ad essa esterni, che siano sopraggiunti ad “inquinare” la propria presunta purezza ed innocenza.

Una prima considerazione intorno a questo tragico evento ci viene suggerita da una scritta razzistica apparsa nella villa comunale (“Da Durazzo a Tirana tutti figli di puttana”). Essa rivela il tentativo – piuttosto maldestro, in verità, ma da non sottovalutare – di innescare a Modugno un conflitto con una comunità di immigrati – quella albanese – che, pur essendo la più numerosa del nostro territorio, non aveva finora dato motivi di particolare preoccupazione per la convivenza civile e l’ordine pubblico, ma che, anzi, si è nel complesso ben integrata nella nostra comunità, offrendo a tanti Modugnesi – che magari ora “storcono il naso”- lauti guadagni nell’affitto delle abitazioni (spesso squallide soffitte), braccia robuste in lavori materialmente pesanti (agricoltura, edilizia, commercio), palle ricurve in altri lavori socialmente ingrati (attività domestiche, assistenza ad anziani infermi, ecc…).

Ha fatto bene, dunque, il sindaco di Modugno, Pino Tana, a mettere subito in guardia la città dal rischio di una “caccia alle streghe” anti-albanese, ma crediamo che i Modugnesi siano abbastanza smaliziati per cedere a questa insidia, se non altro perché la nostra città è da molto tempo ormai molto poco “autoctona” e prevalentemente composta da “forestieri” di varia provenienza.

Più subdolo e pericoloso ci sembra invece un altro rischio, che, scossa da un fatto criminoso così rilevante, si insinui nella coscienza collettiva dei Modugnesi l’inclinazione a distinguere tra una criminalità “minore” normale, accettabile, o addirittura “legittima”, e una criminalità “maggiore” pregiudicata, esecrabile, e pertanto “contro regola”, nell’illusione che la tolleranza della prima ci salvaguardi dalla ferocia della seconda. Non è affatto vero, tra l’altro, che furti, scippi, piccole rapine ed estorsioni, quando non siano episodi isolati ma costituiscano – come avviene a Modugno – un contesto permanente del nostro vivere civile, siano fatti meno violenti, meno laceranti, meno angoscianti di un funesto omicidio: essi vengono ad inficiare fortemente la sicurezza collettiva, a sconvolgere la vita quotidiana di chi ne è colpito, e fra tutti, in particolare, quella dei più deboli e indifesi, i bambini egli anziani. La criminalità, insomma, non è né “micro-” né “macro-”, ma è sempre crimen, cioè dis-crimen, cioè “separazione”, anomalia, che merita di essere segnalata, giudicata e punita, nel ripetto, naturalmente, delle norme e delle finalità fissate dalla legge.

Un’altra osservazione ci sembra di dover fare in ordine a questo tema. Tutti i fenomeni criminosi, piccoli o grandi che siano, non possono essere isolati da un più ampio contesto che mette in discussione non solo i comportamenti di individui o di gruppi isolati, ma anche quelli di gran parte dei cittadini, se non addirittura dell’intera comunità. Si tratta di quei comportamenti illegali e incivili che, quando siano anch’essi socialmente diffusi, costituiscono una fonte costante di corruzione, di degrado, di deterioramento morale, sul quale s’innesta e prospera la più aggressiva criminalità.
Inciviltà, illegalità e criminalità sono insomma tre livelli di un unico edificio, direi meglio di una piramide nella quale quanto più estesa è la base (l’inciviltà), tanto più ampi e contigui sono il corpo centrale (l’illegalità) e il suo vertice (la criminalità): tre livelli non rigidamente separati, ma elastici e intercomunicanti, interdipendenti, reciproca mente condizionati. Non è un caso che i grandi fenomeni criminosi del nostro paese (mafia, camorra e loro varianti) siano concentrati nelle aree più degradate e meno vivibili di esso, là dove l’illegalità e l’inciviltà sono così diffuse da essere considerate ormai endemiche e da rimanere il più delle volte “non-crimi- nate”, non più segnalate, e quindi impunite. Chi si cura più oggi, a Modugno, di andare a denunciare ai carabinieri il furto di una bicicletta o lo scippo di una borsetta?

Nella nostra città, dunque, come del resto in gran parte dell’Italia meridionale, questo tessuto di connivenza e di connessioni con la criminalità è sempre stato abbastanza ampio, e forse oggi si va estendendo, di pari passo con il progressivo intensificarsi della congestione urbana, del degrado ambientale, delle disuguaglianze economiche, sociali, culturali. Così a Modugno, per fare qualche esempio, sembra ormai «normale» passare col rosso al semaforo, guidare il motorino senza casco, sorpassare a destra, ignorare le strisce pedonali, sostare in doppia – tripla fila davanti alle rosticcerie, depositare sulla strada contenitori e bottiglie dopo aver consumato pizza birra in auto, portare il proprio cane a fare i suoi bisogni davanti alle case altrui, scaricare in periferia rifiuti di ogni tipo (inciviltà), oppure affittare una casa «in nero», non pagare i contributi ai dipendenti, non esporre i prezzi in vetrina, costruirsi una stanza in più, abbattere la facciata di un edificio storico (illegalità); per non parlare, infine, di quelle situazioni “legittime”, ma non per questo meno intollerabili, come le antenne e i ripetitori in pieno centro, i complessi edilizi abnormi, le nauseanti puzze quotidiane, le colonie di cani randagi e aggressivi.
Questi ed altri simili comportamenti (da alcuni dei quali neppure chi scrive pretende di essere esente) sono qui da noi così diffusi e ormai accettati che, quando ci rechiamo in altre regioni del centro-nord d’Italia, o in altri paesi europei, restiamo come stupefatti e quasi disorientati di fronte all’ordine, alla pulizia, al rispetto delle cose e delle persone, e noi stessi – i meridionali – ci sentiamo come a disagio, come “osservati”, e per questo stiamo ben attenti a comportarci bene, ad essere precisi e disciplinati. Così, allo stesso modo, i forestieri e gli extracomunitari che vengono ad abitare a Modugno avvertono subito la “qualità” dell’ambiente che li circonda, e tendono di conseguenza ad adeguarsi, quando, naturalmente, non abbiano già per proprio conto una individuale conformazione mentale e morale ben consolidata, sia in senso positivo che in senso negativo. Non di rado, fra i miei non pochi amici albanesi (gente di tutto rispetto, che potrebbe insegnare civiltà e moralità a tanti nostri concittadini), ho sentito dire che «Modugno è più o meno come l’Albania»: pare, insomma, che sia il paesaggio urbano sia quello civile della nostra città non siano poi molto “distinti” rispetto a quelli di Durazzo e di Tirana, così volgarmente offese in quella miserevole scritta. E che dire poi del gusto tutto modugnese del “frecare” ad incauti malcapitati qualunque oggetto lasciato appena incustodito, dalla bicicletta all’ombrello, dall’utensile domestico ad un attrezzo agricolo?
Di fronte a problemi di tale portata le istituzioni appaiono spesso inadeguate, ma evidentemente le risposte non possono essere soltanto repressive. Certo, i Carabinieri dovranno essere più presenti sul territorio, i Vigili Urbani dovranno essere più vigili, ma, dopo l’uccisione del giovane Lacalamita, toccherà a tutti noi cittadini modugnesi compiere lo sforzo più difficile: quello di modificare alcune cattive abitudini per innalzare il livello di civiltà complessivo del nostro territorio, cominciando magari a fermarci sempre davanti ad un semaforo rosso, anche se l’ora è tarda e dall’altra parte non viene nessuno. Ma la più grande responsabilità, in questo campo, compete ai presenti e futuri amministratori del nostro Comune: rendere la città più vivibile, più decorosa, più dignitosa. La ristrutturazione della villa comunale, la realizzazione del parco di via Verga, il rifacimento della pavimentazione nel centro storico, la ristrutturazione della piazza Romita Vescovo costituiscono importanti successi, ma ancora molto resta da fare: aiutare le scuole nell’opera di integrazione multietnica, incrementare i centri di promozione culturale, attivare nuovi impianti sportivi, cominciando con l’aprire subito la piscina comunale, che tanti giovani può sottrarre ai rischi della devianza. Purtroppo, i nostri Amministratori e dirigenti politici sono impegnati da mesi in estenuanti e penose trattative “per trovare nuovi equilibri” all’interno dei partiti e dei gruppi di maggioranza: a loro evidentemente interessa più chi deve fare l’assessore che non che cosa un assessore deve fare.

SAN NICOLA DA TOLENTINO 2022. IL DISCORSO DI DON NICOLA COLATORTI

Come di consueto, all’inizio della processione di san Nicola da Tolentino, patrono della città di Modugno, don Nicola Colatorti, parroco della Chiesa Matrice di Modugno, ha tenuto il suo discorso alla cittadinanza nell’ambito del rito della «consegna delle chiavi» da parte del sindaco, ing. Nicola Bonasia.
Quest’anno don Nicola ha introdotto la sua relazione con un suggerimento che papa Francesco ha fatto alla Chiesa in merito alla necessità di un «cammino sinodale», in modo da procedere uniti nella stessa fede.
La circostanza è stata quanto mai opportuna per sottolineare che «non si può essere assidui nelle celebrazioni religiose ed essere sordi ai lamenti che ci giungono dalla porta accanto» .
Una considerazione che ha richiamato il concetto di Carità, la più importante delle virtù teologali, così come afferma san Paolo, quando dice: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1 Cor 13,13); ancora più incisivo, il monito di san Giacomo: «Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (Gc 2,17).
Con questa premessa don Nicola introduce il suo discorso inerente, come di consueto, all’analisi della situazione dei tempi che stiamo attraversando e, in particolar modo, alla nostra realtà locale, auspicando che lo spirito della sinodalità possa guidare coloro che hanno responsabilità politiche e sociali.
Non poteva mancare il riferimento alla grave crisi energetica che interessa, in modo più incisivo, le famiglie con un reddito più basso e che dovranno confrontarsi con il costo esorbitante delle bollette. A tal proposito è stata interessante l’idea di «costituire un fondo energetico là dove lo Stato non riesce ad arrivare» pur ricordando, però, che l’operato della pubblica autorità non si sostituisce alla responsabilità di ciascun cittadino.
La sinodalità non prevede deroghe ad un concetto molto semplice: solo se si resta uniti si possono affrontare, con maggior coraggio, le avversità della vita.
Un discorso che, partendo da spunti di riflessione cristiana, ha fornito interessanti indicazioni sulle quali ciascuno di noi, nell’ambito delle proprie possibilità e competenze, è chiamato a riflettere.

marco pepe

Qui di seguito il discorso integrale di don Nicola Colatorti

Piazza Sedile, lunedì 19 settembre 2022

“La festività odierna ci offre ancora motivo per ripensare la realtà di questa nostra città e porla nelle mani di San Nicola. L’occasione quest’anno ci viene suggerita da papa Francesco su una proposta che lui ha voluto fare a tutta la Chiesa: quella di un cammino sinodale, cioè di camminare insieme, di sentirci compagni di viaggio; un suggerimento che ha molto da dire ai cristiani. Questa proposta noi la allarghiamo all’intera società.

Per i cristiani camminare insieme significa riconoscersi segnati dal battesimo, partecipi di quella comunità che chiamiamo Chiesa. Capire che la Chiesa non è il luogo di occasionali utilità da cui attingere nel bisogno per poi ritirarsi nel rifugio privato: molti sono i cristiani anonimi, senza un volto, senza un’appartenenza, sciolti da ogni vincolo, che appaiono per qualche circostanza, forse anche religiosa, e poi perdersi nel nulla. Cari fratelli nella fede, riconoscete la vostra identità, sappiate tenervi uniti dalla stessa fede, sentitevi Chiesa! La Chiesa soffre della lontananza dei suoi figli e soffre doppiamente là dove di questa lontananza se ne sente colpevole. Riscopriamo i nostri vincoli in quell’unità nutrita di carità, capace di guardare chi ci è accanto, ma ancor più chi ci è dietro o si è smarrito, provato da povertà fisiche e morali che significano tensioni famigliari, precarietà lavorativa, solitudine, malattie, che compromettono un cammino unitario a motivo della loro situazione e forse per nostra noncuranza: non si può essere assidui nelle celebrazioni religiose ed essere sordi ai lamenti che ci giungono dalla porta accanto.

Ma vogliamo allargare gli orizzonti ad una sinodalità sociale che ci faccia vivere il senso della appartenenza: sapere di camminare insieme, convinti che il bene di ognuno è il benessere di tutti. Questo è possibile in un tessuto armonico dove ciascuno per la sua parte, nell’esercizio del proprio ruolo, si pone alla ricerca del bene comune.

Nello spirito di questa sinodalità il primo compito spetta a coloro su cui grava l’impegno di guidare le sorti della nostra città, perché non si fermino ad una pur giusta, ma ordinaria amministrazione nei limiti di un servizio funzionale, ma diano grinta al loro operare, attenti a quella parte della popolazione che per molti versi ristagna ai margini del vissuto cittadino, ci riferiamo a quelle povertà emergenti che con l’evolversi delle situazioni si accrescono e prendono un volto sempre nuovo: c’è chi è in cerca di una casa, vittima di sfratto esecutivo, senza via di soluzione, perché purtroppo trova altre case vuote, ma non disponibili; c’è chi, particolarmente oggi, è alle prese con la situazione energetica a motivo di bollette non risolvibili: a tal proposito con tutta umiltà suggeriamo che sarebbe auspicabile costituire un fondo energetico là dove anche lo Stato non riesce ad arrivare. Ma auspichiamo che si abbia un occhio vigile su situazioni che si prospettano nell’immediato futuro, che già entrano in un piano operativo e che richiedono accorgimenti mirati già al presente: pensiamo a quella trasformazione industriale che si va delineando nel settore automobilistico nel passaggio dall’endotermico all’elettrico, che andrà a compromettere sensibilmente la manodopera. Sappiamo quanta dipendenza ha Modugno in questo settore. E’ dunque una situazione – ci permettiamo di suggerire – che merita di proporsi al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), per prevenire disagi successivi.

Ma va ricordato a tutti che l’operato della pubblica autorità non si sostituisce alla responsabilità di ciascun cittadino. La sinodalità a cui facciamo riferimento non ammette deleghe: o si procede uniti o si affonda. I limiti della pubblica autorità devono portare ognuno ad un cammino virtuoso, libero da egoismo o disimpegno, facendosi carico di quella sussidiarietà capace di guardare più in profondità in quegli angoli oscuri dove solo l’occhio attento di ciascuno può arrivare.

Sono questi i desideri che auspichiamo e che quest’oggi affidiamo a San Nicola. A lui non chiediamo la soluzione dei nostri problemi, ma piuttosto che tocchi il nostro cuore ad una sincera sinodalità per poterli risolvere”.

La devozione popolare verso san Rocco e san Nicola da Tolentino.

Uno degli appuntamenti più attesi della nostra città è certamente quello di fine settembre, – quest’anno anticipato per ragioni elettorali – quando si celebra la festa dei santi Patroni, san Rocco da Montpellier e san Nicola da Tolentino. Nella circostanza, fede e tradizione danno vita ad un evento che unisce tutta la nostra comunità.

L’inizio del culto di san Rocco, a Modugno, non è documentato da fonti dirette; quello che certamente è riconducibile a san Rocco, però, è la costruzione della chiesa di san Sebastiano (ora dedicata all’Assunta) avvenuta durante la peste del 1535. Sappiamo infatti che il culto di san Sebastiano era sempre stato associato a quello di san Rocco perché, entrambi, furono invocati durante la pestilenza. La presenza della chiesetta intitolata a san Sebastiano costituisce, quindi, una prima testimonianza, sia pure indiretta, dell’avvio del culto di san Rocco nella nostra città, grazie anche al contributo, offerto in tal senso, dai frati cappuccini che si insediarono nel loro convento all’inizio del Seicento. Per risalire alle notizie riguardanti l’adozione di san Rocco, quale «protettore» della città di Modugno, bisogna far riferimento a due importanti documenti: alla Cronaca sulla peste del 1656 di Vitangelo Maffei, che lo associa a san Pietro Martire e san Nicola da Tolentino, e dalla Cronaca sui fatti del 1799 di Giambattista Saliani che lo associa, invece, soltanto a san Nicola da Tolentino.

Per quanto riguarda quest’ultimo, invece, i contorni della vicenda sono meno nebulosi grazie ad una documentazione che chiarisce ogni aspetto legato alla «scelta del protettore», avvenuta nel 1749. La documentazione a supporto è stata reperita presso l’Archivio Diocesano di Bari e costituisce anche la prova della partecipazione del popolo riguardo alla devozione verso i Santi, nel chiedere il loro patrocinio. Con delibera del 15 maggio 1749, l’Università di Modugno proclama san Nicola da Tolentino patrono principale della Città.
Dalle notizie storiche risulta che a Modugno la festa patronale di san Nicola da Tolentino si è celebrata il 10 di settembre, sino al 1860. Con l’Unità d’Italia i rapporti tesi tra lo Stato e la Chiesa ebbero ripercussioni anche nei confronti dei Comuni e pertanto anche la cerimonia della «consegna delle chiavi» fu osteggiata.

La situazione cambiò dopo i Patti Lateranensi del 1929. A Modugno fu la «Confraternita di san Nicola» a riprendere, dopo il 1860, i festeggiamenti per il principale patrono che si tennero, per diversi anni, nel mese di ottobre in forma molto rimaneggiata.

Nel 1952 don Nicola Milano, nominato arciprete di Modugno nel 1946, unificò i festeggiamenti di san Rocco e san Nicola fissandoli, rispettivamente, nell’ultima domenica di settembre e al lunedì successivo, promuovendo quindi la tradizionale cerimonia della citata «consegna delle chiavi» nell’ambito della festa di san Nicola.


 

Le fonti storiche sono state reperite dalle seguenti pubblicazioni:

«San Rocco e San Nicola da Tolentino patroni della città di Modugno», a cura del prof. Raffaele Macina, Edizioni Nuovi Orientamenti, luglio 2018;

«La scelta del protettore di Modugno», supplemento al n. 3, 1982 della rivista «Nuovi Orientamenti» (con il patrocinio del Comitato Feste Patronali), a cura del mons. Michele Ruccia.

Per eventuali approfondimenti entrambe le pubblicazioni sono reperibili attraverso i link di seguito indicati.

[2018] San Rocco e San Nicola da Tolentino
[1982] La scelta del protettore di Modugno [1749]

Presentazione della categoria “Accadeva a Modugno il…”

Con il numero n. 132 della rivista «Nuovi Orientamenti» (gennaio 2008, anno XXX), fu intrapresa un’interessante iniziativa: in deroga alla tiratura ordinaria, fu pubblicato «Il calendario storico modugnese del 2008» nell’ambito del quale, per ciascun mese, furono riportati in ordine cronologico gli avvenimenti storici della nostra città, corredati di brevi commenti curati dal prof. Raffaele Macina, direttore della rivista. Si è pensato di riproporre tale ricerca storica, probabilmente non conosciuta da tutti gli abbonati, intitolando la nuova rubrica «Accadeva a Modugno il…» con l’obiettivo di annotare gli eventi di rilievo per «richiamare l’attenzione sul grande patrimonio costruito dalla nostra comunità, nel fluire della sua storia millenaria». Trascrivere gli eventi ha suscitato una bella sensazione, restituendo un piacevole senso di appartenenza alla nostra città; è la sensazione che auguro nell’invitarvi a seguire la nostra «nuova» rubrica.

(mp)


 

Qui di seguito l’articolo «Il calendario come occasione per riflettere sulla Città» (testo integrale), a firma del prof. Raffaele Macina, nel quale furono spiegate le ragioni dell’iniziativa:

«Dopo la pubblicazione nel 2001 dell’Agenda storica modugnese, più volte in questi anni, nelle nostre riunioni redazionali, si è affacciata l’ipotesi di realizzare un calendario che con brevi sintesi presentasse i fatti storici più importanti della città. Col 2008 viene alla luce il Calendario storico modugnese, che da un lato, come tutti i calendari, vuol essere un utile strumento per orientarsi fra i giorni e i mesi dell’anno, dall’altro vuole soprattutto richiamare l’attenzione sul grande patrimonio costruito dalla nostra comunità nel fluire della sua storia millenaria. Un patrimonio ricco e complesso che, incrociandosi con i grandi eventi nazionali ed internazionali, riguarda tutti gli aspetti dell’umano: pestilenze, guerre, pericoli, odi, albagia del potere, ma anche testimonianze di virtù, solidarietà, amore vero per il prossimo, dedizione per la propria città e per il bene comune. Dopo aver ultimato il lavoro, rivedendo il tutto e scorrendo i mesi con le diverse informazioni storiche, ho avuto quasi la sensazione di essere sollecitato da una notizia o da una illustrazione a fermarmi, a riflettere su quello che altri hanno fatto prima di noi nello stesso territorio all’interno del quale ora ci muoviamo.

Ecco, fermarsi e riflettere sull’operato di chi ci ha preceduti, su una piazza, una chiesa, un monumento, che costituiscono il patrimonio che la storia ci ha affidato perché poi lo si possa trasmettere integro alle future generazioni, questo sì che è un invito da cogliere.

Fermarsi, anche per capire di più le dinamiche sociopolitiche di una comunità e le smanie per tutto ciò che sa di effìmero e di improvvisato, destinato ad essere nullificato dal severo giudizio della storia.
Fermarsi per osservare quanto sia lenta, anzi lentissima, la politica di recupero di un bene culturale e quanto poco si faccia per quell’archivio storico comunale, che, trasportato a Bari nel 1980 presso l’Archivio di Stato per mancanza di locali comunali, ancora oggi dopo 28 anni non si riesce a riportare a Modugno.
Fermarsi anche per cogliere alcuni caratteri della storia della città: la presenza di vincoli comunitari che nel passato hanno motivato ad azioni concrete di solidarietà (la costruzione con capitali privati di una “peschiera”, la fondazione di una scuola o di una Società di Mutuo Soccorso); la capacità di affrontare e risolvere situazioni difficili come quando per ben due volte, dopo essere stata acquistata come feudo, Modugno si riscatta riconquistando la condizione di città regia, che garantiva un sistema fiscale meno oppressivo e livelli maggiori di autonomia politica.
Fermarsi, infine, per elaborare un’idea di città che sia in grado di conciliare sviluppo e vivibilità. Oggi sono molti i fattori che attentano alla vivibilità nella nostra città: oltre a quelli esterni (Centrale, Zona Industriale, ecc), vi è questa corsa sfrenata alla cementificazione che fa sorgere più appartamenti su una superficie prima occupata da una sola abitazione, con tutto quello che ne consegue a livello di servizi, viabilità ed inquinamento. Sembra di essere ritornati alla logica del mattone degli anni Sessanta, che registrarono indici elevati di speculazione edilizia.
Anzi, rispetto a quegli anni, oggi c’è un’aggravante: il prezzo degli appartamenti è giunto a livelli impossibili, addirittura superiore a quelli di molte zone di Bari. Lo sanno molto bene i giovani che, quando mettono su casa, vanno via da Modugno.
Ed una città che espelle i suoi giovani, non può avere alcuna storia. Ecco, io mi auguro che questo calendario del 2008 possa suscitare un maggiore interesse per la storia della città che, come si sa, non riguarda solo il passato ma anche il presente e la stessa possibilità di superare i suoi problemi.
(R.M.)

Il link per consultare la rubrica “Accadeva a Modugno il…”
https://www.nuoviorientamenti.it/category/attualita/accadeva-a-modugno-il/

Don Giacinto Ardito

Il dodici agosto di dodici anni fa ci lasciava don Giacinto Ardito. Per venerdì prossimo, 12 agosto 2022, la parrocchia “S. Agostino” lo ricorda con due momenti di preghiera, come indicati dalla locandina. Don Giacinto ha collaborato negli anni con la nostra rivista. Si riporta in calce l’intervista che la prof.ssa Cosima Cuppone gli fece a gennaio del 1989, poi pubblicata nel n. 1/2 di “Nuovi Orientamenti” dello stesso anno. L’intervista è particolarmente interessante, perché don Giacinto si sofferma sul suo magistero di parroco, esprimendo principi e considerazioni, che conservano ancora oggi tutta la loro attualità. Naturalmente, i due momenti di preghiera, come indicati dalla locandina della parrocchia, sono aperti a tutti coloro che volessero partecipare.

(R.M.)

Anno XI N.1,2 Gennaio, Aprile 1989
Cosima Cuppone

Il pianeta “parrocchia” nella società attuale

La parrocchia è oggi una realtà profondamente diversa dal passato. Appaiono lontani tempi in cui si assisteva quasi ad un naturale passaggio di molti giovani dalla «militanza cattolica» alla «militanza di in un partito di sinistra», particolarmente nel partito comunista. Nuova spiritualità, volontariato, incontri culturali, apertura al sociale e organizzazione del tempo libero spesso costituiscono oggi il terreno privilegiato dell’azione di una parrocchia, che così concretizza la “rivoluzione” del Concilio Vaticano II, delineata sin dagli anni Sessanta. Questa inchiesta, che ci permette di entrare nel vivo di una parrocchia, quella di Sant’Agostino, può forse offrire un quadro aggiornato del ruolo che la Chiesa esercita oggi in uno specifico territorio.

L’idea di compiere questa indagine è nata da una constatazione: l’attuale società offre a tutti — giovani e non — limitate o quasi nulle occasioni ed opportunità di incontro, di dialogo, di discussione. La crisi di tradizionali forme e movimenti di associazione, da quelle culturali o del tempo libero a quelle partitiche, è sotto gli occhi di tutti e di essa si è già fin troppo parlato perché anche in questa occasione si consumi altro tempo e inchiostro. La Chiesa appare, oggi, una delle poche istituzioni, se non l’unica, ancora in grado di offrire momenti e situazioni di incontro e di aggregazione, specie giovanili, che sollecitano la partecipazione e stimolano il contributo di cui l’individuo è capace, in vista di un inserimento responsabile nella vita di relazione. Una conferma in tal senso ci viene da Modugno, dove tutte le parrocchie manifestano per lo più una intensa vitalità.

La continuity magistero di due parroci

È facile, ad esempio, imbattersi il pomeriggio, la sera, o la domenica mattina in animati gruppi di giovani, bambini, ragazzi ed adulti, che si trattengono sul marciapiede di via Piave antistante alla Chiesa S. Agostino, oppure occupano (non c’è quasi mai traffico di automobili o altri autoveicoli) la stradella via Montepertica. Sono ragazzi e adulti in attesa di una riunione di catechesi, o che hanno da poco finito di partecipare ad una celebrazione eucaristica, o che semplicemente si son trovati lì per consumare un po’ di tempo o per assistere ad una proiezione cinematografica; insomma, viene da pensare alla parrocchia come ad un efficiente centro di aggregazione. Da qui l’interesse a conoscere meglio la vita e l’organizzazione di una parrocchia come quella di S. Agostino per comprendere le ragioni che permettono alla Chiesa di essere oggi più presente e più vitale in un territorio. Ebbene, parroco di «S. Agostino» è don Giacinto Ardito, con il quale è quanto mai opportuno avviare il discorso. L’appuntamento è per le 17 di un pomeriggio di gennaio: «Mi raccomando — aveva premurosamente esortato don Giacinto — non più tardi perché alle 18 ha inizio il catechismo». Non ci vuol molto per verificare la fondatezza della sua raccomandazione: risulta davvero difficile rimanere a parlare tranquilli, sia pure per una buona mezz’ora, perché continuamente qualcuno bussa alla porta e chiede di parlare con lui. Don Giacinto è succeduto a don Biagio Trentadue nella guida della parrocchia e la successione è avvenuta nel silenzio, senza annunci o festeggiamenti. Ed è questo aspetto, di discrezione e di voglia di essenzialità, che a me pare il tratto più qualificante dell’attività di don Giacinto, la cui cultura, il rigore morale, il coraggio intellettuale ho avuto occasione di apprezzare in varie situazioni.
E mi viene naturale stabilire una continuità di magistero fra questi due parroci, in particolare penso agli incontri con i genitori animati da don Biagio. Una espressione di don Biagio allora mi colpì: «È opportuno — egli disse a noi genitori — che i catechisti siano gli stessi genitori». A distanza di alcuni anni mi sembra che, come si dirà dopo, il desiderio di don Biagio sia divenuto oggi realtà grazie a don Giacinto.

La parrocchia il suo territorio, la sua popolazione

Il discorso parte subito con l’analisi della dimensione territoriale della parrocchia e in particolare col riferimento al nuovo Codice di Diritto Canonico che, esprimendo i nuovi principi del Concilio Vaticano II, all’art. 518 così recita: «Come regola generale, la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio».

Alla luce di tale affermazione, chiedo a don Giacinto quale sia la consistenza numerica e la composizione sociale della popolazione che ricade nell’ambito della parrocchia, quanta parte di essa frequenti le funzioni religiose e quanti siano invece i soggetti impegnati con assiduità nelle diverse attività della «Sant’Agostino».

Le persone facenti parte della parrocchia sono circa 10.000. Di queste circa 1.000 frequentano la parrocchia, intendendo per frequenza la sola partecipazione alla messa festiva. Tutte, invece, richiedono i Sacramenti. Tra i 1.000 frequentanti, circa 200 sono presenti nella parrocchia con un ruolo, un impegno, un lavoro. Di questi un numero superiore a 100 è costituito da giovani (dai 15 ai 20 anni), il resto da adulti (dai 30 ai 60 anni). Non si considerano impegnate le circa 800 unità costituite da bambini e ragazzi di scuola elementare e media che frequentano il catechismo. Quanto a composizione socio-economica la realtà della parrocchia è variegata: vi fa parte, infatti, una fascia del borgo vecchio, di modesta condizione; un gruppo, che rappresenta la componente prevalente, appartenente al ceto medio alto; un gruppo impiegatizio e un gruppo impegnato in nuove professioni che ha nei confronti della religione un atteggiamento «post-industriale».

Mi pare di capire, ascoltando i dati sulle persone impegnate nella parrocchia con un ruolo ed un impegno preciso, che da questa fascia sono esclusi gli anziani. Come mai questa scelta che per certi aspetti potrebbe costituire un limite?

In realtà, gli anziani non sono esclusi, ma, di fatto, non si sentono particolarmente motivati a certi impegni, e questo non mi sembra un limite, in quanto ben sappiamo quanto gli anziani preferiscano la frequenza a pratiche devozionali e di culto ai momenti di Catechesi oppure ad altre forme di religiosità. Più che di un limite, si tratta di una scelta.

Con una popolazione così diversa per religiosità e varia per età, come si fa a rendere omogeneo l’intervento della Chiesa?

In verità, la difficoltà è notevole e deriva dal fatto che molti riducono il fatto religioso al momento dei Sacramenti. La religiosità va oltre i Sacramenti, essa deve tradursi in un certo stile di vita, perciò il mio tentativo è di filtrare la richiesta religiosa di sempre riferendomi al discorso Conciliare e ai concetti di una reale vita cristiana da concretizzarsi nel quotidiano.

Culto, religiosità utilitaristica e nuova spiritualità

Il suo discorso incontra resistenze?

Incontra reazioni positive e negative. Quelle positive le registro alla messa domenicale delle 11,30 che vede la partecipazione dei giovani e, in genere, del ceto impiegatizio o di quello da me definito «di religiosità post-industriale». Le reazioni negative, invece, sono determinate dalla difficoltà nell’aderire ad un discorso nuovo che fa perno sulla interiorità e su una religiosità più autentica. È chiaro, ad ogni modo, che il discorso locale non può non rimandare ad un contesto socio-culturale di ordine mondiale, per cui le cause di una mentalità poco religiosa sono di natura generale e si collegano a visioni consumistiche e nichiliste della realtà, di cui sono portatrici tante ideologie.

Se si confrontano fra di loro i 10.000 potenziali parrocchiani, /1.000 frequentanti e i 200 realmente impegnati, mi sembra di poter dire che c’è una evidente sproporzione fra questi tre dati. Eppure la parrocchia è nata parecchi anni fa. Questo vorrebbe dire che essa non ha cristianizzato abbastanza il territorio?

La sproporzione è un dato reale e la esiguità del rapporto fa riflettere. Io penso che molti sentono la religiosità come il semplice venire a Messa o partecipare a momenti di culto; altri la intendono e la vivono in modo più autentico, cioè come un intimo rapporto culto-vita e questi sono pochi.

Come mai la Chiesa non ha saputo cristianizzare nella direzione dell’impegno, mentre il suo magistero ottiene ampi consensi nella direzione del semplice culto?

Noi tentiamo di cristianizzare e lo facciamo in vari modi; mediante incontri di Catechesi per adulti che si tengono ogni giovedì in parrocchia, alle 19,30; attraverso incontri di rione che organizziamo in vari momenti dell’anno e attraverso iniziative di volontariato. I limiti però nascono dagli scontri con questa mentalità: quando, ad esempio, qualche famiglia chiede la benedizione della casa, il sacerdote va con piacere e desidererebbe trovare tutto il nucleo familiare per conoscerlo nella sua interezza, invece quasi sempre vi trova solo una persona e quindi quel momento si limita a un semplice fatto devozionale e non diventa occasione di conoscenza umana, indispensabile perché si inizi un discorso religioso più significativo.

La esiguità del rapporto popolazione – frequentanti-impegnati non si può attribuire al fatto che vivere religiosamente è difficile?

Per me ciò è anche dovuto a un certo modo di intendere la religiosità, una religiosità che assume, per molti, un significato ed un valore utilitaristico. È la religiosità di chi considera la preghiera come una continua richiesta, domanda di favori: «Fammi stare bene, fa’ che mia madre guarisca, che mio figlio trovi un posto, che quello chiuda un occhio…». È evidente che tali atteggiamenti hanno poco o nulla di religioso, come pure è facile che una così fragile religiosità venga meno quando una richiesta non venga esaudita. Ad un sacerdote può capitare di sentirsi dire: «Come vuoi che io creda ancora? avevo pregato per mia madre, ma è morta…».

E allora in che consiste una autentica religiosità?

Religiosità è una esigenza religiosa, è un bisogno interiore di spiritualità, è un progressivo maturare di atteggiamenti religiosi; religiosità è passare da una abitudine alla domanda ad un atteggiamento di formazione e di crescita, possibilmente per dare; è ancora passare da un culto utilitaristico ad uno di adorazione. Un teologo protestante, Bonheffer, sostiene che per molti Dio sia semplicemente un «dio tappabuchi», a cui rivolgersi per avere una grazia.
In questa visuale anche il culto per alcuni santi assume un significato di tornaconto personale e sembra rispondere alla logica dell’interesse, per non parlare di una quasi sostituzione di antichi culti pagani; vedi il culto per S. Anna, o per S. Rita, o per S. Antonio. È sintomatico come in un tale tipo di culto non sia mai rientrato un santo come S. Agostino, il quale ci propone una religiosità impregnata di interiorità.

Da quanto tu dici verrebbe quasi di pensare che la società oggi non sia cristianizzata perché prevale la logica dell’interesse e del tornaconto, e non per l’affermazione di ideologie alternative. È così?

Indubbiamente tutto questo contorno sociale è poco cristiano e il messaggio della Chiesa va contro questo tipo di religiosità corrente. Penso che la Chiesa debba condurre la sua battaglia diffondendo con chiarezza il messaggio del Vangelo e dotandosi anche di mezzi di comunicazione sociale. Penso che il Vaticano dovrebbe avere una stazione televisiva il cui obiettivo dovrebbe essere la formazione di atteggiamenti autenticamente religiosi.

E ai giovani voi riuscite ad offrire questa autentica dimensione religiosa?

Il nostro continuo sforzo è che si passi dalla dimensione utilitaristica ad una religiosità nuova, interiorizzata. Per questo noi facciamo leva sulla Parola di Dio, sulla liturgia (una liturgia partecipativa, che stimola la riflessione e sollecita la comunicazione), sulla conoscenza del mondo e la partecipazione alla vita sociale.

 

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