È alla fine dell’Ottocento che il casale medievale incomincia ad essere conosciuto fra gli studiosi

Anno XXX N. 133,134 Marzo 2008
Claudia De Liso, Maria Franchini

Nel 1892 Romualdo Moscioni, fotografo viterbese con studio a Roma, venuto in Puglia su incarico del Ministero della Pubblica Istruzione, produsse un album dal titolo Apulia Monumentale composto da 235 fotografie relative a monumenti architettonici di Terra di Bari e delle province limitrofe5.
Tra questi, egli ritrasse anche il lato meridionale della chiesa all’epoca denominata S. Pietro a Balsignano, oltre all’affresco con S. Lucia ed il Santo Vescovo situato nella vicina chiesa di S. Maria. Si tratta della più antica documentazione fotografica esistente riguardante Balsignano. Essa consente di farsi un’idea dello stato della facciata meridionale della chiesa di S. Pietro prima dei restauri degli anni 1929-30. La parte realizzata in pietra squadrata consisteva nelle cinque campate scandite da lesene ancora oggi visibili, priva delle due lesene alle estremità. Ne risultava una composizione sostanzialmente simmetrica rispetto al portale, simmetria posta ancora più in rilievo dalla presenza, a destra ed a sinistra della muratura in blocchi regolari ed a filo con essa, di due bassi muretti o cataste di pietrame, che dissimulavano da un lato l’abside e dall’altro i resti di un avancorpo. La facciata in conci lavorati si interrompeva verso l’alto con il filare a denti di sega, non essendo visibili tracce della cornice. Il tetto mostrava il nucleo interno in scapoli di pietra, mentre il tamburo e la cupola erano già nelle condizioni in cui si possono osservare oggi.
L’opera di Moscioni contribuì non poco a far conoscere i resti dell’antico casale di Balsignano, di cui si era persa memoria poiché ormai, da trecento anni, il borgo era divenuto un fondo rustico con casino nel territorio di Modugno. Essa inoltre segnò la prima tappa della presa di coscienza da parte delle istituzioni dell’importanza storica e del valore artistico del complesso.
Era il periodo in cui lo stato unitario stava faticosamente costruendo le basi di un sistema di tutela dei beni culturali attraverso la produzione di un inventario degli stessi beni5. Il tempio di S. Pietro a Balsignano non sfuggì alla ricognizione. Il De Bellis, nella sua opera sugli uomini illustri di Modugno, scrisse: «L’ispettore governativo delle antichità e belle arti, l’architetto sig. Giacomo Boni, nel visitare Balsignano, ha trovato il tempietto molto pregevole e per la sua antichità e per la sua bella forma, quindi l’ha proposto al Governo per farlo annoverare fra i monumenti nazionali»6. Difatti, la chiesa entrò a far parte dell’elenco di monumenti di interesse nazionale esistenti nella provincia di Bari. Successivamente, nel 1911, fu assoggettata al vincolo con legge n. 364 del 20 giugno 1909.
A cavallo tra i due secoli, alcuni modugnesi cultori di storia locale, il sacerdote Nicola Trentadue Junior e l’avvocato Vito Faenza, condussero indagini storiche sull’antico casale di Balsignano, andando ad integrare le poche notizie già riportate dal Garruba.
A quell’epoca era vivo l’interesse per i monumenti medievali della Puglia e numerosi studiosi-viaggiatori, anche stranieri, percorrevano il nostro territorio alla ricerca delle sue bellezze storico-artistiche. Uno di essi, Émile Bertaux, autore di un’opera in lingua francese sull’arte nell’Italia meridionale, descrisse proprio il S. Pietro, considerandolo un importante esempio di chiesa a cupola: «La cappella isolata di San Pietro, presso la frazione di Balsignano, è probabilmente contemporanea a Santa Margherita a Bisceglie, alla quale assomiglia strettamente per la regolarità del suo apparecchio, per la costruzione segnata da arcate a pieno centro e per i pennacchi della sua cupola. Questa cappella, sprovvista di transetto, non è che una semplice navata voltata a botte e sormontata da una cupola. La parete esterna è molto sobriamente ornata di archetti; la porta è inquadrata da un semplice nastro decorato a denti di sega; il tamburo della cupola, di forma ottagonale, è forato da due oculi molto stretti. La cappella di San Pietro, come la piccola chiesa di Santa Margherita, è una libera imitazione di un modello bizantino. Queste chiese in miniatura, rimarchevoli per l’eleganza delle proporzioni e l’esattezza dell’apparato, potrebbero dare ancora dei modelli d’eccellenza per delle chiese di campagna». Dopo il Bertaux altri studiosi rivolsero la loro attenzione al complesso monumentale: Antonino Vinaccia13 e, in particolare, Giuseppe Ceci14, il quale disvelò numerosi documenti riguardanti il casale di Balsignano, la maggior parte dei quali conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, alcuni pubblicati nel Codice Diplomatico Barese. Unendo queste fonti diplomatiche ad antiche testimonianze storiche, come la Cronaca di Domenico da Gravina, egli operò la ricostruzione di un ampio periodo di vita del borgo, dal X al XVI secolo. Il suo scritto rimane ancora oggi una pietra miliare degli studi storici su Balsignano, anche perché molte fonti da lui consultate andarono perdute durante il bombardamento che nel 1943 distrusse parte delle carte dell’Archivio di Stato di Napoli. I preziosi resti del passato medievale della Puglia furono presentati ad un vasto pubblico in occasione di due esposizioni di notevole rilevanza. L’Esposizione Nazionale di Torino del 1898 festeggiava il cinquantenario dello Statuto del Regno concesso da Carlo Alberto. Nell’ambito della manifestazione, fu allestita una mostra medievale pugliese contenente una imponente collezione di 72 calchi in gesso che riproducevano le sculture ornamentali delle chiese e dei castelli della Terra di Bari dal secolo XI al XIV secolo ed un ricco apparato di 127 fotografie raccolte in un album con un’aggiornata bibliografia.
L’Esposizione Internazionale del 1911, realizzata in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, coinvolgeva le città che erano state capitali, Torino, Firenze e Roma, con diverse manifestazioni. A Roma si svolsero tre mostre, una a carattere artistico, l’unica di respiro internazionale, una storica e l’altra etnografica, quest’ultima consistente in una presentazione delle diverse regioni italiane. Nel padiglione pugliese, progettato dall’architetto Angelo Pantaleo, ispettore della Soprintendenza ai monumenti di Bari, vennero illustrate le emergenze architettoniche ed artistiche regionali attraverso calchi, copie, reperti archeologici e riproduzioni fotografiche15 .
In quell’occasione si potè ammirare una riproduzione dell’affresco del Santo vescovo conservato nella chiesa di S. Maria di Balsignano. Nelle pagine della guida alla mostra dedicate alle sale di arte bizantina fu inserita la foto della copia dell’affresco con la didascalia «Pittura di S. Nicola». Nel testo della guida si legge: «In questa sala (fig. 34) sono riprodotte dall’avv. Giuseppe Pastina alcune delle pitture murali pugliesi, e precisa- mente quelle che sono chiamate Basiliane e sono classificate di scuola Bizantina» e più avanti: «Di Balsignano presso Modugno è stato riprodotto un S. Nicola di fattura mirabile, in cui la evoluta composizione del disegno (poiché pare un dipinto quattrocentesco) e la studiata parsimonia del colore sono in grave contrasto con gli ornamenti delle vesti e dei paramenti sacerdotali». Dopo l’individuazione e lo studio del monumento arrivò la stagione dei restauri.
Nel 1929 il soprintendente alle Opere d’Antichità e d’Arte delle Puglie Quintino Quagliati visitò con il professor Gino Chierici, membro del Consiglio Supremo d’Antichità e Belle Arti, il tempio di S. Pietro a Balsignano. L’11 dicembre inviò al Ministero della Pubblica Istruzione un telegramma che lasciava trapelare la preoccupazione per lo stato in cui versava la chiesa: «Riscontrate gravissime condizioni statiche monumento-urge provvedere-chiedo assegno lire diecimila lavori immediati». Il 21 dicembre il Ministero assegnò la somma richiesta.
Un importante documento relativo ai restauri eseguiti in quegli anni è una lettera recante la data del 7 agosto 1930 scritta dall’architetto incaricato dei lavori, Luigi Concari, ed indirizzata al Soprintendente, accompagnata da una fotografia attualmente conservata nell’Archivio fotografico della Soprintendenza di Bari. L’oggetto della lettera era il restauro dell’abside della chiesa di S. Pietro. L’architetto Concari proponeva una revisione della linea d’intervento precedentemente concordata, consistente nella demolizione dell’abside tranne che nella parte centrale sino alla finestra e nel raccordo di questa parte con le pareti laterali della chiesa attraverso una nuova muratura.
L’esigenza di una variante al progetto era maturata alla luce di quanto si era potuto rilevare solo dopo lo sbancamento del cumulo di pietre che ricopriva l’abside all’esterno: «Il muro absidale esterno dalle fondazioni in linea semicircolare, e nel primo rialzo con una semplice cornice di basamento (perfettamente uguale a quella che si riscontrò nel lato sud della chiesetta) passa
a linea pentagonale, di cui esiste una alzata di circa m. 1, in ottime condizioni, con relative legature agli angoli delle pareti laterali». Si trattava a suo parere di un importante rinvenimento, che forniva nuovi elementi per la ricostruzione già programmata della parte absidale. La linea d’intervento proposta escludeva la demolizione interna dell’abside, poiché le sue condizioni statiche erano giudicate ottime, tranne che per uno strapiombo di 2 cm verso l’esterno che avrebbe potuto essere contraffortato dalla suddetta ricostruzione esterna del muro. Il legamento con le pareti laterali sarebbe stato ottenuto con il rifacimento della sola risega angolare alle estremità. L’architetto concludeva la lettera con un riepilogo della proposta d’intervento, restando comunque in attesa di indicazioni da parte del Soprintendente: «Così si avrà l’esterno dell’abside (che attualmente non esiste) completamente di nuova ricostruzione, l’interno com’è attualmente in opera, senza nessuna manomissione, e i legamenti tra l’abside e la nave di nuova costruzione, sulle primitive tracce preesistenti e visibili».
Nell’aprile del 1931 un contributo di £ 4.000 per i lavori di restauro della chiesa venne elargito dall’Ente fascista per la tutela dei monumenti in Terra di Bari, per mezzo del professor Michele Gervasio, all’epoca direttore del Museo Archeologico Provinciale.
I restauri furono eseguiti (non si sa se totalmente o in parte) da Francesco Napoletano, costruttore edile di Bisceglie, che poteva vantare nel proprio curriculum lavori alla basilica di S. Nicola di Bari, a Castel del Monte e alla chiesa di Ognissanti a Trani.
In una lettera del 1953, inviata dalla Soprintendenza ad una studiosa che stava effettuando una ricerca sui restauri del S. Pietro a Balsignano sotto la direzione di Quagliati, sono riportate notizie desunte dagli atti contabili dell’Economato relativi all’esercizio finanziario 1929- 30. Da questi risulterebbe che i lavori furono eseguiti dal 24 novembre 1929 al 18 gennaio 1930 con un impiego medio di 14 operai alla settimana per una spesa complessiva lorda di £ 8.376,60. Fra gli atti si troverebbero sei fatture quietanziate dalla ditta Francesco Napoletano per la fornitura ed il trasporto del seguente materiale: 20 carretti di pietra da taglio cantoni grezzi proveniente dalle cave di Giovinazzo, 7,55 quintali di cemento e 53 quintali di pozzolana, per una spesa complessiva di £ 1.623. Difficile capire perché in questo documento non venga fatto cenno della lettera dell’architetto Concari, né è possibile dare una spiegazione delle discrepanze sul periodo in cui si svolsero i lavori rilevabili tra le diverse fonti citate.
Di sicuro i restauri non dovevano aver interessato l’intero corpo dell’edificio se già nel 1938 l’avvocato Nicola Capitaneo, regio ispettore onorario ai monumenti di Modugno, segnalava al soprintendente Nello Tarchiani lo stato di precarietà del monumento: «La chiesa di S. Pietro in Balsignano, come già verbalmente feci cenno, necessita di restauri. La bella cupola, che internamente si conserva bene, è invece esternamente in tale stato da non poter evitare la infiltrazione delle acque di pioggia. Occorre visita dell’architetto per i lavori del caso». Il soprintendente rispondeva che, pur essendosi convinto dopo un sopralluogo della necessità di provvedere alla conservazione della cupola che si andava «lentamente disgregando», non disponeva al momento di fondi. D’altra parte, era sua opinione che l’intervento avrebbe anche dovuto prevedere una sistemazione dell’intorno, se non definitiva, per lo meno tale da garantire la conservazione del prezioso rudere. In particolare, riteneva che non fosse prudente lasciare sul luogo tutto lo scarico di pietrame allora esistente.
Qualche mese più tardi lo stesso soprintendente, avendo avuto notizia che dalla cinta muraria del casale di Balsignano erano stati asportati alcuni blocchi in pietra squadrata, invitava il proprietario Francesco Lattanzio a fare esercitare dal fittavolo una più attiva sorveglianza, per evitare il ripetersi del fatto e per impedire che venisse manomesso anche l’edificio monumentale della chiesa di S. Pietro, e contemporaneamente chiedeva al comandante del consorzio delle guardie campestri una vigilanza più attenta della contrada.
Nicola Capitaneo tornò nel 1940 a denunciare il compimento di atti vandalici a danno del casale al soprintendente Alfredo Barbacci.
Negli anni Cinquanta fu il soprintendente Franco Schettini ad interessarsi della chiesa di S. Pietro, che considerava «monumento di grande interesse architettonico e da annoverarsi tra i più tipici dell’arte pugliese nei secoli XII-XIII».
Egli nel dicembre del 1950 scrisse al Ministero una lettera in cui enunciava la necessità di intervenire prontamente per scongiurare la perdita irreparabile dell’edificio che, ricadendo in una proprietà privata, mancava di una qualunque manutenzione.
Pertanto proponeva l’esproprio della chiesa e di una piccola zona di rispetto. Inoltre chiedeva lo stanziamento di una somma di circa £ 4.000.000 per procedere con urgenza al consolidamento delle parti pericolanti del monumento. Allegate alla lettera erano 4 fotografie, ora conservate nell’Archivio fotografico della Soprintendenza di Bari. Esse mostrano il fianco nord-ovest del corpo rustico della chiesa sommerso all’esterno per metà dell’altezza da un vasto cumulo di detriti di pietra, senza dubbio risultato di crolli.
Il Ministero fece conoscere le proprie decisioni in merito alla necessità di consolidamento immediato solo nell’agosto del 1951, in seguito ad un sollecito, con la seguente nota: «A prescindere dal fatto che la chiesa in oggetto è di proprietà privata, il Ministero non ha alcuna possibilità di far stanziare, per il restauro del sacro edificio in questione, una somma così rilevante».
Il primo passo da compiersi era dunque l’esproprio e prontamente fu richiesta all’Ufficio Tecnico Erariale una relazione di stima del monumento. La perizia, datata marzo 1954, così recita: «Antica chiesetta di stile romanico in gran parte diroccata; in muratura di pietra. Si presenta ancora in condizioni di stabilità il prospetto principale con i caratteristici elementi architettonici dello stile romanico; relativamente stabili sono le murature e le cupole, in numero di tre, dell’abside e dello spazio per i fedeli; una quarta cupola ed una copertura a volta sono quasi totalmente diroccate; mancano pavimenti ed infissi. La superficie totale coperta dalla chiesetta è di circa metri quadrati cinquanta.
Si valuta nelle attuali condizioni, lire centomila; escluso ogni valutazione di pregio artistico.
Il fondo rustico circostante la antica chiesetta è seminativo con qualche ulivo; considerato che la chiesetta ha un lato lungo strada, la eventuale zona di rispetto della larghezza di metri dieci misurerebbe la estensione di circa metri quadrati cinquecento, che si valutano lire cinquantamila».
L’iniziativa di Schettini non ebbe seguito e nei documenti non si trova alcun cenno all’esproprio per i successivi trent’anni. Intanto proseguiva la spoliazione dei conci del muro di cinta medievale del casale, per ricavarne materiale calcareo, ed il soprintendente faceva nuovamente appello al comando dei vigili campestri perché intensificasse l’opera di vigilanza «su tutto il complesso della chiesa e del castelletto di Balsignano abbandonati purtroppo a delittuosa rovina ed incuria».
Nel 1959 parve delinearsi una nuova minaccia, rappresentata dall’ammodernamento della strada provinciale 92 Modugno-Bitritto. Bisogna premettere che la Modugno-Bitritto era stata già sistemata in base ad un disegno del 1877 dell’ingegnere Giuseppe Revest, che aveva previsto, tra l’altro, la costruzione di un ponte sulla lama di Balsignano27. I terreni adiacenti al vecchio percorso erano stati oggetto di esproprio, ed anche Giovanni Alfonsi, all’epoca proprietario del fondo comprendente il casale di Balsignano, compariva nell’elenco degli espropriandi. Infatti, il suo possedimento fu privato di una stretta fascia di terreno lungo il confine orientale28, pari circa ad un terzo della lunghezza di tale confine verso nord, come si evince dai grafici di progetto29.
Il progetto del 1959 redatto dalla Provincia andava nuovamente ad interessare la contrada di Balsignano con la previsione di una curva proprio a monte del casale, per estromettere dal nuovo asse a scorrimento veloce il bivio in cui andavano a confluire quattro strade, cioè i due rami della Modugno-Bitritto da rinnovare, una vecchia via per Modugno ed il tragitto che collegava Balsignano a Bitetto costeggiando a nord il casale.
Fu inoltre previsto l’allargamento e la regolarizzazione della sede stradale preesistente, ma con un tracciato che, come poteva rilevarsi dagli elaborati grafici, andava a sovrapporsi al lotto recintato del casale proprio in prossimità della chiesa di S. Pietro. Di conseguenza, l’attuazione del progetto secondo quello schema avrebbe comportato la demolizione delle antiche mura, già compromesse dagli interventi del 1877, fino all’angolo sud-est, cioè quello adiacente alla lama.
La Soprintendenza chiedeva alla Provincia notizie in merito auspicando una collaborazione «onde studiare la possibilità di non recare nessun danno ai ruderi monumentali e di cogliere, anzi, l’occasione per una loro migliore valorizzazione turistica ambientale». Si intervenne in tempo per scongiurare il peggio anche se il proprietario ebbe a lamentarsi con la Soprintendenza che nell’eseguire la strada era stato demolito una parte del muro a secco di recinzione del suolo e che dal varco continuavano ad entrare greggi e ragazzi. A partire dagli anni Settanta si svolsero delle ricerche, i cui risultati furono resi noti attraverso pubblicazioni e due importanti mostre, quella su “Puglia XI secolo” alla Pinacoteca di Bari nel 1975 e quella su “Insediamenti benedettini in Puglia” al Castello Svevo tra novembre 1980 e gennaio 198130. Il complesso di Balsignano fu oggetto dell’interesse degli studiosi, che contribuirono a meglio inquadrare dal punto di vista storico e critico le sue emergenze architettoniche. Gli scritti del Ceci furono rispolverati e divenne dato acquisito l’intitolazione della chiesa a cupola a S. Felice e non a S. Pietro.
La rivista Nuovi Orientamenti di Modugno, insieme ad altre associazioni, contribuì con diverse iniziative a diffondere tra i cittadini e le amministrazioni locali la consapevolezza dell’importanza del monumento e della urgenza di sottrarlo all’abbandono e alla rovina31.
Negli anni Ottanta, con il soprintendente Riccardo Mola32, ripresero vigore le iniziative istituzionali. Con D.M. del 14 febbraio 1981 l’intero complesso murato venne dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della legge n.1089 del 1° giugno 1939, in quanto «eccezionale esempio di complesso medievale» e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge. Nel 1982 fu elaborato dai Ministeri per i Beni Culturali e per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno il progetto speciale denominato “Itinerari turistico-culturali”, che vedeva Balsignano inserito con altri centri dell’entroterra a sud di Bari (Valenzano, Sannicandro, Binetto, Binetto, Noicattaro, Conversano) nell’itinerario caratterizzato dalla “cultura araba, bizantina, normanna, sveva”. L’importo destinato a Balsignano era di £ 600.000.000, e parte dello stesso avrebbe potuto essere utilizzato per l’esproprio del bene.
Nello stesso anno, anche il Comune di Modugno esprimeva l’intenzione di voler acquisire l’immobile, iniziativa che incontrava i favori della Soprintendenza.
Il nodo della questione infatti continuava ad essere la proprietà privata del bene, principale ostacolo all’accesso a finanziamenti pubblici. In questi casi spettava al proprietario far eseguire le opere necessarie alla conservazione del complesso monumentale, ferma restando la possibilità per lo stesso di ottenere un contributo a lavori ultimati e collaudati. L’avvocato Lacalamita si era dichiarato indisponibile ad effettuare i restauri, ma disponibile a cedere il casale. La complessa vicenda burocratica conclusasi a quasi vent’anni di distanza, nel 2000, con l’acquisizione del casale da parte del Comune di Modugno, è stata puntualmente documentata sulle pagine di questa rivista.
Nel frattempo, per contrastare l’ulteriore deterioramento dell’immobile, oggetto fra l’altro di ripetuti furti nel 1988, furono eseguiti dalla Soprintendenza alcuni interventi più urgenti sotto la direzione dell’architetto Emilia Pellegrino.
Nel novembre del 1989 furono avviati i lavori nella chiesa di S. Felice: fu restaurata la cupola, il corpo rustico venne liberato dai detriti che l’ostruivano verso nord e le strutture murarie emerse vennero consolidate; si eseguirono scavi all’interno della chiesa a cura della Soprintendenza archeologica di Puglia35.
Nel 1991 venne effettuato il consolidamento delle coperture della chiesa di S. Maria ed il restauro del tratto della cinta muraria meridionale compresa tra l’abside di S. Maria e la strada provinciale Modugno-Bitritto. Si scavò nuovamente attorno alla chiesa di S. Felice ed all’intemo della chiesa di S. Maria36. Nel 1999 venne effettuato il consolidamento e fissaggio al supporto murario di alcuni degli affreschi in S. Maria. A partire dal 1998 sono state eseguiti il consolidamento delle murature e la ricostruzione della torre occidentale del castello, e, a partire dal 2006 e sino a maggio del 2007, ci sono stati lavori di restauro e musealizzazione della chiesa di S. Maria. Gli ultimi scavi eseguiti in prossimità di questi monumenti hanno prodotto risultati molto interessanti per la conoscenza del casale37.
Purtroppo, da 10 mesi non si registra più alcun intervento, per cui anche il recupero di Balsignano rischia di diventare una storia senza fine.

Note
  1. 1. L’intera opera di Moscioni è stata pubblicata integralmente nel libro: C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), Castelli e cattedrali di Puglia. A cent’anni dall’Esposizione Nazionale di Torino, catalogo della mostra (Bari, Castello Svevo, 13 luglio - 31 ottobre 1999), Adda, Bari 1999, pp. 117-355.

    2. Fu lo studioso Giuseppe Ceci a scoprire che la chiesa era intitolata a S. Felice e non a S. Pietro, come si era creduto fino ad allora confondendo questa con un’altra chiesa appartenuta all’ordine teutonico, che era situata nella campagna vicina. Si veda: G. CECI, Balsignano, inserto a “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 5-6, p.11 ; lo scritto del Ceci fu pubblicato per la prima volta nel 1932 sulla rivista “Japigia”.

    3. C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), op. cit., pp. 221-222.

    4. 4 Della lesena all’estremità orientale, verso l’abside, ricostruita nei restauri del 1929-30, esisteva solo l’attacco a terra.

    5. M. G. DI CAPUA, Note storiche sul servizio di tutela dei beili culturali in Puglia da Carlo III di Borbone ad oggi (1755-1997), in “BIAS”, 1997, n. 1, pp. 5-69.

    6. G. DE BELLIS, Modugno e ì suoi principali uomini illustri, Stab. Tip. Fili Pansini fu S., Bari 1892, p. 76, n. f.

    7. Archivio di Stato di Bari, Intendenza e Prefettura, Monumenti e scavi, busta 8, fasc. 200/1

    8. 8 Archivio per la soprintendenza per i beni architettonici e per il passaggio per le provincie di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, cart. 25.

    9. N. TRENTADUE JUNIOR, Cenno storico sul culto della Vergine Addolorata patrona della città di Modugno, Cannone, Bari 1876, nn. 8, 22.

    10. G. DE BELLIS, op. cit, pp. 77-78.

    11. M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi. Cannone, Bari 1844, pp. 930-931.

    12. È. BERTAUX, L’art dans VItalie Méridionale, Paris, Fonte- moing, 1904, libro III, p. 381.

    13. A. VINACCIA, L’architettura pugliese nel Medioevo, in “Rassegna Tecnica Pugliese”, VII (1908), fase. VI, pp. 81-89, tavv. I-II; A. VINACCIA, I monumenti medievali di Terra di Bari, Bari 1915, ristampa Multigrafica, Roma 1981, voi. I, pp. 102-104, tavv. IV-V.

    14. G . CECI, Balsignano, in “Japigia”, III (1932), pp. 47-66.

    15. R. PULEJO, Il medioevo pugliese alle Esposizioni di Torino (1898) e Roma (1911), in C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), op. cit., pp. 27-30.

    16. II padiglione pugliese nell’Esposizione Regionale in Roma. Guida, G.U. Nalato, Roma MCMXI, pp. 75-77, fig. 35.

    17. Quintino Quagliati (Rimini, 1869 - Taranto, 1932) era archeologo. Vice ispettore del Museo Nazionale di Taranto e Scavi di Antichità dal 1898, ne divenne ispettore nel 1907 e direttore nel 1909. Fu soprintendente unico della Puglia dal 1923 al 1932 e durante questi anni profuse un grosso impegno nell’effettuare scavi e restauri. Si ricordano i restauri della basilica di S. Nicola e della cattedrale di Bari, di Castel del Monte, di S. Maria del Casale a Brindisi, per citare i monumenti più famosi. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 56, n. 50.

    18. Gino Chierici (Pisa, 1877 - Milano, 1961) entrò nella Soprintendenza di Pisa come architetto nel 1910. Dal 1919 fu soprintendente a Siena, tra il 1924 ed il 1935 fu soprintendente dell’arte medievale e moderna della Campania, successivamente venne trasferito a Milano, dove si occupò del restauro di importanti monumenti, quali la basilica di S. Lorenzo e S. Maria delle Grazie. Dopo la guerra, in seguito a provvedimenti di epurazione politica, venne ufficialmente posto a riposo, ma spesso ebbe incarichi ispettivi. Continuò fino alla morte a lavorare al complesso paleocristiano di Cimitile, presso Nola, da cui era rimasto affascinato sin dal tempo della sua permanenza a Napoli. Si veda: L. GALLI, Il restauro nell’opera di Gino Chierici (1877-1961), Franco Angeli, Milano 1989.

    19. Archivio della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, cart. n. 25. Tutti i documenti citati di seguito provengono da questo archivio, tranne che non sia espressamente indicata in nota un’altra fonte.

    20. Luigi Concari fu architetto della Soprintendenza di Taranto, sezione Monumenti. Diresse tra l’altro i lavori di restauro alla Basilica di S. Nicola. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 56, n. 52.

    21. Archivio fotografico della Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, neg. n. 651 cat. B.

    22. L’architetto la designa come “S. Maria”: si tratta evidentemente di un lapsus;

    23. Nello Tarchiani, toscano, fu dal 1913 ispettore della Soprintendenza alle Gallerie, ai musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte di Firenze. Fu soprintendente unico della Puglia per un breve periodo, dal 1937 al 1938, caratterizzato da frequenti assenze dovute al suo incarico dì direttore della Pinacoteca di Siena. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit, p. 57, n. 64.

    24. Alfredo Barbacci, ingegnere ed architetto, nacque ad Ancona nel 1896. Fu soprintendente in diverse sedi dall’Abruzzo all’Emilia, ad Arezzo, Pistoia, Verona e Mantova, e soprintendente unico della Puglia dal 1939 al 1943. Fu docente di Restauro dei monumenti presso la facoltà di architettura di Firenze ed autore di importanti restauri nelle cattedrali di Pienza, Modena, Trani, e Molfetta. Si veda M.G. DI CAPUA, op.cit., p.57, n. 66.

    25. Francesco Schettini (Turi, 1914 - Roma, 1974), architetto, entrò nella Soprintendenza di Bari come capo dell’Ufficio Tecnico. Nel 1938 vinse il concorso da ispettore. Nel 1943 fu nominato reggente a Bari dove divenne soprintendente. Fu trasferito a Bologna nel 1965. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 58, n. 83.

    26. Si sottolinea il riferimento ad una quarta cupola e ad una copertura a volta quasi totalmente diroccate, all’epoca ancora riconoscibili sotto il cumulo di pietra che circondava la chiesa sui lati nord- ovest e sud-ovest. 

    27. II ponte di Revest crollò durante l’alluvione del 1906. Si veda: Archivio di Stato di Bari, Comune di Modugno, Lettera del 22 Giugno 1906 di Domenico Sciannimanico al Sindaco di Modugno, cart, n. 403

    28. II lato orientale è quello corrispondente all’attuale ingresso al casale.

    29. Archivio di Stato di Bari, Comune di Modugno, Progetto di sistemazione della strada obbligatoria nel tratto compreso dall’abitato di Modugno verso Bitritto, Giuseppe Revest ingegnere, 1877, cart. n. 403.

    30. R BELLI D’ELIA (a cura di). Alle sorgenti del romanico. Puglia XI secolo, catalogo della mostra, Amministrazione Provinciale, Bari 1975; M. S. CALÒ MARIANI (a cura di). Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra, 2 voli. Congedo, Galatina 1981.

    31. Si segnala in particolare: A. PEPE, La chiesa di S. Felice (S. Pietro) in Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, II (1980), n. 4, pp. 27-30; R. LICINIO, Balsignano può tornare a vivere, in “Nuovi Orientamenti”, Il (1980), n. 5-6, pp. 25-27; A. PEPE, Balsignano nell’attualità di un itinerario, in “Nuovi Orientamenti”, IV (1982), n. 4-5, pp. 25-27; R. MACINA (a cura di). Atti del Convegno “Balsignano: quale futuro? (7 gennaio 1983)”, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 1-2, fascicolo allegato; N. LAVERMICOCCA, Per un “parco archeologico” a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 5-6, pp. 9-10.

    32. Riccardo Mola (Napoli, 1935 - Bari, 1991), architetto, entrò nell’amministrazione dei beni culturali nel 1966. Fu soprintendente ai monumenti del Friuli Venezia Giulia e Trieste prima di essere trasferito a Bari, dove restò in servizio fino al 1991. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit, p. 58, n. 88.

    33. Si segnalano in particolare i seguenti contributi: R. MACINA, Balsignano: prima posizione chiara e coraggiosa dell’amministrazione comunale, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 4, pp. 12-13; R. MACINA, Un primo passo per il recupero di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 6, p. 19; N. MAGRONE, Balsignano, emblema della penalizzazione di un bene culturale del sud, in “Nuovi Orientamenti”, XVI (1994), n. 72, pp. 14-17; R. MACINA, Il Comune potrebbe avere in convenzione Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XVII (1995), n.76, pp. 8-9; R. GRECO, Notizie, in “Nuovi Orientamenti”, XXII (2000), n. 96, p. 4.

    34. Si veda: R. MACINA, Nuovo tentativo di furto a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 4, pp. 14-15; S. CORRIERO, Ancora un furto a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XI (1989), n. 3, pp. 9-10.

    35. L. NUZZI, Lavori a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XI (1989), n. 6, p. 11.

    36. L. NUZZI, Stanziati 540 milioni per Balsignano e Si delinea una Modugno archeologica, in “Nuovi Orientamenti”, XIII (1991), n. 1-2, pp. 16-18; R. MACINA, Si profila un futuro per Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XIII (1991), n. 4, pp. 2-3.

    37. M. FRANCHINI, Prevista per il prossimo anno l’agibilità del castello di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XXVIII (2006), n. 124, pp. 27-30.