Anno XVI N. 72 Novembre 1994
On. Dott. Nicola Magrone

L’onorevole Magrone ha presentato nel mese di agosto una ricca e documentata interrogazione parlamentare su Balsignano, che, al di là del suo valore politico, fornisce un quadro d’insieme preciso sull’intera problematica del casale medievale. Per la sua importanza e per gli sviluppi che essa potrà avere, riteniamo opportuno sottoporla all’attenzione dei lettori.

Interrogazione a risposta orale

Al Ministro peri Beni Culturali e Ambientali. –
Per sapere – premesso che:

il 14 febbraio 1981 il Ministro per i beni culturali e ambientali, su segnalazione-richiesta della Soprintendenza per i beni ambientali architettonici artistici e storici della Puglia, dichiarò il complesso di Balsignano, costituito da: Castello, Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, Chiesa di S. Felice, sito in Provincia di Bari – Comune di Modugno, di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089 in quanto eccezionale esempio di complesso medioevale» e lo sottopose a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge;

il Soprintendente per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici della Puglia arch. Riccardo Mola aveva segnalato all’Ufficio Centrale peri Beni A.A.A.A.S. -Div. III del Ministero per i Beni Culturali, ai fini delle misure di tutela di cui alla legge n. 1089 1° giugno 1939, che «il complesso di Balsignano, sito nel comune di Modugno, contrada Balsignano, riveste importante interesse storicoartistico ai sensi della legge 1089/39 in quanto eccezionale testimonianza di costruzioni medioevali rimaste all’interno dell’antico borgo di Balsignano. Del nucleo urbano originario, delimitato da una cinta muraria che probabilmente ne definiva i confini, restano solamente gli edifici rappresentativi quali il castello, la Chiesa di San Felice (importantissimo esempio dell’architettura romanico-pugliese del tipo di chiesa a cupola con influenze dell’arte bizantina e araba) e quella di Santa Maria di Costantinopoli mentre le abitazioni sono andate completamente distrutte nelle vicende belliche che hanno avuto una parte determinante nell’assetto del territorio»;

il complesso di Balsignano, sito nella omonima località del territorio comunale di Modugno (Bari), costituisce una rara testimonianza dei numerosi “casali” che tra il IX e l’XI secolo popolavano il paesaggio rurale di Terra di Bari. Il casale sorge in un sito di notevole bellezza a circa tre chilometri dall’abitato; è posto in posizione dominante alla confluenza di valli torrenziali. Sia nelle immediate vicinanze che più lontano, lungo la lama, sono presenti altri insediamenti, religiosi e civili, che provano la continua frequentazione del luogo. Sebbene gravemente depauperato rispetto all’originaria consistenza, il vecchio nucleo abitato, delimitato da una cinta muraria che ne doveva determinare un tempo i confini, conserva ancora gli edifici più rappresentativi, quali il castello e due chiese, San Felice e Santa Maria di Costantinopoli. Totalmente distrutte risultano, invece, le abitazioni o comunque le altre strutture edilizie che in origine lo completavano e di cui verosimilmente si potrebbero rinvenire importanti testimonianze attraverso un’opportuna campagna di scavo» (relazione tecnica e storico-artistica al progetto speciale «complesso di Balsignano -, arch. progettista Emilia Pellegrino della Soprintendenza di Bari);

«due conventi benedettini intitolati a San Lorenzo furono fondati, nella fine del secolo X, il primo nella città e l’altro, a distanza di sette miglia, nel territorio di Capua, e formarono una badia, che dalla nuova città, sorta nel secolo seguente accanto al secondo, prese il nome di San Lorenzo di Aversa. Arricchita per le donazioni cospicue di principi capuani, di conti normanni e di altri benefattori, confermate da pontefici e imperatori, divenne molto potente. La sua giurisdizione, tra il XII e il XIII secolo, si estendeva in Campania e in Puglia su 80 chiese, presso le quali erano monasteri e grande con villaggi e larghi e pingui territori. Tra gli altri possessi, era il castello di Balsignano che, con tutte le appartenenze, terre coltivate e incolte, oliveti, vigne e pascoli, era stato donato alla badia aversana dal duca Ruggiero, figlio di Roberto Guiscardo e da sua moglie Adele nel maggio del 1092. Le rovine di questo castello, con la chiesa annessa, esistono tutt’oggi su una pittoresca eminenza a tre chilometri da Modugno (Bari ), quasi a metà della via che mena a Bitritto. Balsinianum, derivazione attraverso Palisinianum del primitivo Basilianum, fu con molta probabilità in origine un podere appartenente ad un Basilium, ager basilii. Ivi, a poco a poco, si formò una borgata, della quale la prima notizia ci è data da un instrumento del maggio 962 dell’Archivio di San Nicola di Bari» (Giuseppe Ceci, «Balsignano», 1933, ristampato da edizioni Nuovi Orientamenti, dicembre 1988);

«fra X e XI secolo, dunque Balsignano si sviluppò come nucleo insediativo fortificato, in posizione eminente in un’area servita da una diramata viabilità locale, nonché da un asse viario a dimensione territoriale – la “mulattiera” menzionata già da Strabone – che da tempi antichi collegava Butuntum a Caelia, passando per Modugno e offriva un percorso alternativo interno al tracciato principale della via Traiana. Al di là del caso particolare, la ricca documentazione del Codice Diplomatico Barese testimonia, nella medesima epoca, l’esistenza di una fitta rete di tracciati che innerva l’intero territorio pugliese, sovrapponendosi alla viabilità primaria delle grandi arterie romane – via Appia e Traiana – che ancora in età medievale costituiscono le direttrici fondamentali delle invasioni, dei pellegrinaggi e dei traffici meridionali» (Raffaele Licinio, «Balsignano nell’attualità di un itinerario, in Nuovi Orientamenti», gennaio 1983).

«chi visita ora Balsignano di Modugno riconosce agevolmente la pianta del borgo medioevale, che è circondato per tre lati chi strade, e pel quarto, a sud. dove è meglio conservata la cinta murale, da un sentiero in alto sulla valle. […] La più antica di questa [delle due chiesette del borgo], S. Felice, desta vivo interesse per la singolarità o libertà della sua pianta, per l’elegante semplicità della sua architettura e decorazione, per le incertezze stesse originate dallo stato presente dell’edificio in parte rovinato. […] se la fattura della nave principale si rivela con sicurezza della prima metà del Duecento, quella della nave laterale appartiene ad un metodo di muratura che non si può circoscrivere in un’epoca determinata. Ma comunque sia ciò avvenuto e quale delle due fabbriche abbia preceduto l’altra, è curioso trovare accanto e incastrati tra loro un trullo e una chiesetta a cupola, generi di costruzione la cui affinità è stata così lucidamente esposta da Emilio Bertaux in un capitolo della sua opera su l’arte nell’Italia meridionale (Bertaux, L’arts dans l’Italie meridionale. Paris, Fontemoing, 1904. Per Balsignano si confr. le pagine 381.386, 391 ) […] Al grazioso disegno dell’insieme e di ogni particolare si accorda la perfezione con cui sono squadrati e lavorati i conci di pietra calcarea disposti nei filari orizzontali dei muri e dei pilastri e nelle curve degli archi e delle volte. Il bel colore del materiale non fa rimpiangere la decorazione pittorica o non mai eseguita o scomparsa; solo su un pilastro a sinistra appare la traccia di un’immagine ad affresco» (Giuseppe Ceci, “Balsignano-. 1933, ristampato da edizioni Nuovi Orientamenti, dicembre 1988);

il decreto 14 febbraio 1981 del Ministro per i beni culturali e ambientali venne notificato al proprietario del complesso, avvocato Giovanni Lacalamita, il 2 aprile 1981;

fra l’estate e l’autunno del 1982. il Ministero per i beni culturali e ambientali e quello per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno elaborarono il «Progetto speciale “Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno”»; Balsignano venne “inserito” nell’itinerario normanno-svevo”;

gli interventi più “immediati” previsti nel progetto «Complesso Balsignano» vennero così definiti nella relazione tecnica e storico-artistica del progettista arch. Emilia Pellegrino: «La proprietà privata del casale ha sempre costituito il maggior ostacolo ad un intervento diretto di restauro finanziato dal Ministero per i Beni Culturali o anche all’utilizzo di finanziamenti regionali. Proprio per ovviare a questo impedimento, e considerato che le precarie condizioni del complesso rendono improcrastinabile il recupero delle strutture superstiti, il Comune di Modugno e questa Soprintendenza hanno, da alcuni anni, avviato le procedure per addivenire rispettivamente all’esproprio o all’acquisizione del bene al demanio dello Stato. La richiesta di autorizzazione all’esproprio da parte del Comune, inoltrata il 14 marzo 1984, è ancora all’esame del Ministero peri Beni Culturali e Ambientali [e si era nel maggio 1985!]; su tale proposta questa Soprintendenza [di Bari] ha espresso parere favorevole. Successivamente, con nota […] del 22.4.1985, questo Ufficio [Soprintendenza dì Bari] ha fatto presente al Ministero alcune considerazioni che fanno ritenere preferibile l’acquisizione del complesso al demanio statale, ferma restando la possibilità di un’eventuale concessione in uso al Comune di Modugno. In particolare, si è tenuto conto dell’eccezionale valore del casale e della delicatezza del restauro da eseguire, che rendono opportuno l’intervento diretto della Soprintendenza, della possibilità di assicurare la fruibilità e la custodia del complesso con personale dell’Amministrazione (considerata la vicinanza con la sede di questo Ufficio) e infine della disponibilità dei fondi necessari all’acquisizione, compresi nel lotto finanziario degli «Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno». Per la determinazione dell’importo, questo Ufficio ha richiesto all’ufficio Tecnico Erariale la valutazione degli immobili e di quella parte del terreno agricolo circostante strettamente necessaria a garantire la fruibilità dei monumenti; il valore degli edifici è stato stimato in lire 150.000 e quello del terreno in lire 10.000.000. In considerazione del notevole valore storico-artistico del complesso, questa Soprintendenza ha ritenuto di dover incrementare la suddetta valutazione dell’importo di lire 50.000.000 per un valore complessivo di lire 210.000.000. Tale cifra è stata pertanto inserita nella perizia di spesa che la presente relazione accompagna; nell’eventualità che il complesso venga espropriato dal Comune prima dell’inizio dei lavori, l’importo relativo all’acquisizione verrà utilizzato per effettuare il restauro del castello non compreso nel presente progetto. La necessità di eseguire, con i fondi a disposizione, un lotto funzionale e di conseguire nello stesso tempo la valorizzazione e fruibilità dei beni restaurati hanno portato a concentrare l’intervento sulle chiese di San Felice e di Santa Maria di Costantinopoli, di dimensioni ridotte ma più importanti sotto il profilo storico-artistico.
Il recupero del castello, che appare complesso perché più legato ad una futura eventuale rifunzionalizzazione, viene rimandato in attesa che sì concluda il passaggio di proprietà del complesso. […]. Il quadro economico del progetto risulta così suddiviso:
A) importo opere murarie: lire 257.000.000; B) restauro affreschi: lire 22.500.000; C) revisione prezzi: lire 33.540.000; D) spese generali: lire 8.385.000; E) imprevisti e arrotondamento: lire 12.985.000; F) somma per acquisizione: lire 210.000.000; G) Iva: lire 5.590.000; importo complessivo progetto: lire 550.000.000»;

il 2 giugno 1989 (a distanza, dunque, di otto anni dal decreto “di vincolo” su Balsignano!), l’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno trasferì alla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici della Puglia l’opera di restauro del complesso monumentale di Balsignano riconoscendo alla Soprintendenza l’importo complessivo fisso ed invariabile di lire 502.735.697;

nel 1989, il proprietario del complesso di Balsignano, avvocato Giovanni Lacalamita, si dichiarò disposto a cedere alla Soprintendenza di Bari la proprietà delle tre strutture architettoniche (chiese di San Felice e di Santa Maria di Costantinopoli, castello) e della porzione di terreno sulla quale esse insistono; in sostanza, l’avvocato Lacalamita accettò di cedere la proprietà del tutto per lire 210.000.000, aderendo così completamente alle valutazioni dell’Ufficio Tecnico Erariale; la cosa fu portata a conoscenza del Ministero per i Beni culturali dalla Soprintendenza di Puglia il 13 novembre 1989; con la precisazione che Giovanni Lacalamita rinunciò pure alla somma aggiuntiva riconosciutagli dalla stessa Soprintendenza per il valore artistico dei beni (lire 50.000.000), pur di definire al più presto la vicenda;

la «pratica», pur di facile definizione, rimase, dal 1989 sostanzialmente ferma, salvo un suo singolare e sinistro vagabondare tra Ministero per i Beni culturali e Ministero delle Finanze; nel frattempo, di concreto, la Soprintendenza di Puglia, aveva realizzato interventi per un importo di circa 70.000.000 (consolidamento della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e delle strutture murarie che delimitano l’intero casale); e tanto, nonostante il problema vergognosamente irrisolto dell’acquisizione del complesso; contemporaneamente. la Soprintendenza archeologica di Puglia realizzò scavi a seguito dei quali venne alla luce un sepolcreto, strutture conventuali ed abitative nonché un’abside probabilmente di età tardo-romana e. all’interno della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, ad un livello di m 2.5 al di sotto del precedente piano di calpestio, una necropoli medievale, affreschi, una nicchia (probabilmente una tomba) e strutture che riportano ragionevolmente a due chiese ancora più antiche;

sorprendentemente, il 15 maggio 1992 [!]. il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali si “rifece vivo” con la Soprintendenza di Puglia per richiedere «i documenti necessari alla dichiarazione di pubblica utilità e all’esproprio, corredati di una stima aggiornata dell’Ute» (il tutto, fermo l’impegno finanziario per lire 502.735.697);

il 3 novembre 1992. la Soprintendenza di Puglia inviò al Ministero la documentazione richiesta informando che l’Ute aveva, intanto, aggiornato la stima del complesso portandola a lire 266.000.000;

il 23 novembre 1993, il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. … «esaminati gli atti, richiese ulteriori documenti alla Soprintendenza di Puglia «per dare inizio alla procedura di rito» e restò, senza alcun timore del ridicolo, •in attesa di urgente riscontro»; tra i documenti richiesti, quelli relativi ai «tempi d’inizio e di esecuzione dell’esproprio» del complesso; insomma, come se nulla fosse accaduto prima e come se da ormai dieci anni il proprietario non avesse ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a cedere il complesso;

il 24 febbraio 1994, il Soprintendente A.A.A.A.S. di Puglia, arch. Roberto Di Paola, trasmise la documentazione richiesta; quanto all’esproprio, replicò al Ministero: «circa “l’attestazione inerente i tempi di inizio e di esecuzione dell’esproprio”, […] questo Ufficio osserva di non poter fornire le notizie richieste in quanto il progetto approvato, finanziato nell’ambito degli Itinerari Turistici perii Mezzogiorno. prevedeva che l’acquisizione del complesso monumentale sarebbe avvenuta non attraverso l’attivazione della procedura di espropriazione per p. v. del bene stesso ma con cessione bonaria da parte del proprietario dietro corrispettivo, peraltro già stanziato e messo a disposizione dall’Agenzia per la promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno nel suddetto progetto. Ne consegue che questo Ufficio non ha certamente potuto perfezionare gli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 5 della legge 2359/ 1865. così come richiesto da codesta Divisione. Pertanto, al fine di evitare errori che possano compromettere il buon esito della vicenda in parola, non solo, ma soprattutto allo scopo di non nullificare tutti gli atti procedurali compiuti fin qui da questo Ufficio e giunti nella fase conclusiva, si chiede a codesto Ministero che chiarisca in via definitiva i giusti termini nei quali deve svolgersi l’acquisizione al Demanio statale – ramo storico-artistico – del complesso di Balsignano»;

il 1 aprile 1994, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali inviò alla Soprintendenza di Puglia una ulteriore, inconcludente, richiesta di atti e mostrò di meravigliarsi della lievitazione del prezzo dei beni da acquisire;

il 3 maggio 1994, la Soprintendenza di Puglia replicò al Ministero spiegando le ovvie ragioni della lievitazione del prezzo dei beni come valutato dall’UTE e ribadì la ormai patetica richiesta di indirizzi sull’ormai più che decennale problema acquisizione/esproprio-:

se in tutti questi accadimenti, segnati dall’evidente disprezzo per l’interesse pubblico e dello stesso pubblico denaro, non siano ravvisabili precise responsabilità ministeriali;

se non vi siano ravvisabili ampie tracce di una volontà di discriminazioni contro il Mezzogiorno ed i suoi numerosi giacimenti culturali:

se non sia giudicato urgentissimo l’intervento dello stesso Ministro per ordinare che si perfezioni immediatamente l’atto di cessione del complesso dal privato (consenziente da un decennio) e lo Stato e, conseguentemente, per accertare quali interessi abbiano mosso il Ministero nel boicottare l’esecuzione di un progetto che avrebbe restituito alla comunità internazionale degli studiosi e alla società civile un insieme monumentale di indiscusso altissimo valore;

se l’intera vicenda non abbia finito per penalizzare una regione meridionale anche nelle sue legittime aspirazioni ad una presenza più “forte” nello scenario culturale e storico italiano e mondiale;

se non siano ravvisati gli «estremi» per interessare della vicenda, nei suoi sinistri risvolti che testimoniano lo spreco indebito di pubblico denaro, la competente Autorità Giudiziaria.

On. Nicola Magrone