Il dodici agosto di dodici anni fa ci lasciava don Giacinto Ardito. Per venerdì prossimo, 12 agosto 2022, la parrocchia “S. Agostino” lo ricorda con due momenti di preghiera, come indicati dalla locandina. Don Giacinto ha collaborato negli anni con la nostra rivista. Si riporta in calce l’intervista che la prof.ssa Cosima Cuppone gli fece a gennaio del 1989, poi pubblicata nel n. 1/2 di “Nuovi Orientamenti” dello stesso anno. L’intervista è particolarmente interessante, perché don Giacinto si sofferma sul suo magistero di parroco, esprimendo principi e considerazioni, che conservano ancora oggi tutta la loro attualità. Naturalmente, i due momenti di preghiera, come indicati dalla locandina della parrocchia, sono aperti a tutti coloro che volessero partecipare.

(R.M.)

Anno XI N.1,2 Gennaio, Aprile 1989
Cosima Cuppone

Il pianeta “parrocchia” nella società attuale

La parrocchia è oggi una realtà profondamente diversa dal passato. Appaiono lontani tempi in cui si assisteva quasi ad un naturale passaggio di molti giovani dalla «militanza cattolica» alla «militanza di in un partito di sinistra», particolarmente nel partito comunista. Nuova spiritualità, volontariato, incontri culturali, apertura al sociale e organizzazione del tempo libero spesso costituiscono oggi il terreno privilegiato dell’azione di una parrocchia, che così concretizza la “rivoluzione” del Concilio Vaticano II, delineata sin dagli anni Sessanta. Questa inchiesta, che ci permette di entrare nel vivo di una parrocchia, quella di Sant’Agostino, può forse offrire un quadro aggiornato del ruolo che la Chiesa esercita oggi in uno specifico territorio.

L’idea di compiere questa indagine è nata da una constatazione: l’attuale società offre a tutti — giovani e non — limitate o quasi nulle occasioni ed opportunità di incontro, di dialogo, di discussione. La crisi di tradizionali forme e movimenti di associazione, da quelle culturali o del tempo libero a quelle partitiche, è sotto gli occhi di tutti e di essa si è già fin troppo parlato perché anche in questa occasione si consumi altro tempo e inchiostro. La Chiesa appare, oggi, una delle poche istituzioni, se non l’unica, ancora in grado di offrire momenti e situazioni di incontro e di aggregazione, specie giovanili, che sollecitano la partecipazione e stimolano il contributo di cui l’individuo è capace, in vista di un inserimento responsabile nella vita di relazione. Una conferma in tal senso ci viene da Modugno, dove tutte le parrocchie manifestano per lo più una intensa vitalità.

La continuity magistero di due parroci

È facile, ad esempio, imbattersi il pomeriggio, la sera, o la domenica mattina in animati gruppi di giovani, bambini, ragazzi ed adulti, che si trattengono sul marciapiede di via Piave antistante alla Chiesa S. Agostino, oppure occupano (non c’è quasi mai traffico di automobili o altri autoveicoli) la stradella via Montepertica. Sono ragazzi e adulti in attesa di una riunione di catechesi, o che hanno da poco finito di partecipare ad una celebrazione eucaristica, o che semplicemente si son trovati lì per consumare un po’ di tempo o per assistere ad una proiezione cinematografica; insomma, viene da pensare alla parrocchia come ad un efficiente centro di aggregazione. Da qui l’interesse a conoscere meglio la vita e l’organizzazione di una parrocchia come quella di S. Agostino per comprendere le ragioni che permettono alla Chiesa di essere oggi più presente e più vitale in un territorio. Ebbene, parroco di «S. Agostino» è don Giacinto Ardito, con il quale è quanto mai opportuno avviare il discorso. L’appuntamento è per le 17 di un pomeriggio di gennaio: «Mi raccomando — aveva premurosamente esortato don Giacinto — non più tardi perché alle 18 ha inizio il catechismo». Non ci vuol molto per verificare la fondatezza della sua raccomandazione: risulta davvero difficile rimanere a parlare tranquilli, sia pure per una buona mezz’ora, perché continuamente qualcuno bussa alla porta e chiede di parlare con lui. Don Giacinto è succeduto a don Biagio Trentadue nella guida della parrocchia e la successione è avvenuta nel silenzio, senza annunci o festeggiamenti. Ed è questo aspetto, di discrezione e di voglia di essenzialità, che a me pare il tratto più qualificante dell’attività di don Giacinto, la cui cultura, il rigore morale, il coraggio intellettuale ho avuto occasione di apprezzare in varie situazioni.
E mi viene naturale stabilire una continuità di magistero fra questi due parroci, in particolare penso agli incontri con i genitori animati da don Biagio. Una espressione di don Biagio allora mi colpì: «È opportuno — egli disse a noi genitori — che i catechisti siano gli stessi genitori». A distanza di alcuni anni mi sembra che, come si dirà dopo, il desiderio di don Biagio sia divenuto oggi realtà grazie a don Giacinto.

La parrocchia il suo territorio, la sua popolazione

Il discorso parte subito con l’analisi della dimensione territoriale della parrocchia e in particolare col riferimento al nuovo Codice di Diritto Canonico che, esprimendo i nuovi principi del Concilio Vaticano II, all’art. 518 così recita: «Come regola generale, la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio».

Alla luce di tale affermazione, chiedo a don Giacinto quale sia la consistenza numerica e la composizione sociale della popolazione che ricade nell’ambito della parrocchia, quanta parte di essa frequenti le funzioni religiose e quanti siano invece i soggetti impegnati con assiduità nelle diverse attività della «Sant’Agostino».

Le persone facenti parte della parrocchia sono circa 10.000. Di queste circa 1.000 frequentano la parrocchia, intendendo per frequenza la sola partecipazione alla messa festiva. Tutte, invece, richiedono i Sacramenti. Tra i 1.000 frequentanti, circa 200 sono presenti nella parrocchia con un ruolo, un impegno, un lavoro. Di questi un numero superiore a 100 è costituito da giovani (dai 15 ai 20 anni), il resto da adulti (dai 30 ai 60 anni). Non si considerano impegnate le circa 800 unità costituite da bambini e ragazzi di scuola elementare e media che frequentano il catechismo. Quanto a composizione socio-economica la realtà della parrocchia è variegata: vi fa parte, infatti, una fascia del borgo vecchio, di modesta condizione; un gruppo, che rappresenta la componente prevalente, appartenente al ceto medio alto; un gruppo impiegatizio e un gruppo impegnato in nuove professioni che ha nei confronti della religione un atteggiamento «post-industriale».

Mi pare di capire, ascoltando i dati sulle persone impegnate nella parrocchia con un ruolo ed un impegno preciso, che da questa fascia sono esclusi gli anziani. Come mai questa scelta che per certi aspetti potrebbe costituire un limite?

In realtà, gli anziani non sono esclusi, ma, di fatto, non si sentono particolarmente motivati a certi impegni, e questo non mi sembra un limite, in quanto ben sappiamo quanto gli anziani preferiscano la frequenza a pratiche devozionali e di culto ai momenti di Catechesi oppure ad altre forme di religiosità. Più che di un limite, si tratta di una scelta.

Con una popolazione così diversa per religiosità e varia per età, come si fa a rendere omogeneo l’intervento della Chiesa?

In verità, la difficoltà è notevole e deriva dal fatto che molti riducono il fatto religioso al momento dei Sacramenti. La religiosità va oltre i Sacramenti, essa deve tradursi in un certo stile di vita, perciò il mio tentativo è di filtrare la richiesta religiosa di sempre riferendomi al discorso Conciliare e ai concetti di una reale vita cristiana da concretizzarsi nel quotidiano.

Culto, religiosità utilitaristica e nuova spiritualità

Il suo discorso incontra resistenze?

Incontra reazioni positive e negative. Quelle positive le registro alla messa domenicale delle 11,30 che vede la partecipazione dei giovani e, in genere, del ceto impiegatizio o di quello da me definito «di religiosità post-industriale». Le reazioni negative, invece, sono determinate dalla difficoltà nell’aderire ad un discorso nuovo che fa perno sulla interiorità e su una religiosità più autentica. È chiaro, ad ogni modo, che il discorso locale non può non rimandare ad un contesto socio-culturale di ordine mondiale, per cui le cause di una mentalità poco religiosa sono di natura generale e si collegano a visioni consumistiche e nichiliste della realtà, di cui sono portatrici tante ideologie.

Se si confrontano fra di loro i 10.000 potenziali parrocchiani, /1.000 frequentanti e i 200 realmente impegnati, mi sembra di poter dire che c’è una evidente sproporzione fra questi tre dati. Eppure la parrocchia è nata parecchi anni fa. Questo vorrebbe dire che essa non ha cristianizzato abbastanza il territorio?

La sproporzione è un dato reale e la esiguità del rapporto fa riflettere. Io penso che molti sentono la religiosità come il semplice venire a Messa o partecipare a momenti di culto; altri la intendono e la vivono in modo più autentico, cioè come un intimo rapporto culto-vita e questi sono pochi.

Come mai la Chiesa non ha saputo cristianizzare nella direzione dell’impegno, mentre il suo magistero ottiene ampi consensi nella direzione del semplice culto?

Noi tentiamo di cristianizzare e lo facciamo in vari modi; mediante incontri di Catechesi per adulti che si tengono ogni giovedì in parrocchia, alle 19,30; attraverso incontri di rione che organizziamo in vari momenti dell’anno e attraverso iniziative di volontariato. I limiti però nascono dagli scontri con questa mentalità: quando, ad esempio, qualche famiglia chiede la benedizione della casa, il sacerdote va con piacere e desidererebbe trovare tutto il nucleo familiare per conoscerlo nella sua interezza, invece quasi sempre vi trova solo una persona e quindi quel momento si limita a un semplice fatto devozionale e non diventa occasione di conoscenza umana, indispensabile perché si inizi un discorso religioso più significativo.

La esiguità del rapporto popolazione – frequentanti-impegnati non si può attribuire al fatto che vivere religiosamente è difficile?

Per me ciò è anche dovuto a un certo modo di intendere la religiosità, una religiosità che assume, per molti, un significato ed un valore utilitaristico. È la religiosità di chi considera la preghiera come una continua richiesta, domanda di favori: «Fammi stare bene, fa’ che mia madre guarisca, che mio figlio trovi un posto, che quello chiuda un occhio…». È evidente che tali atteggiamenti hanno poco o nulla di religioso, come pure è facile che una così fragile religiosità venga meno quando una richiesta non venga esaudita. Ad un sacerdote può capitare di sentirsi dire: «Come vuoi che io creda ancora? avevo pregato per mia madre, ma è morta…».

E allora in che consiste una autentica religiosità?

Religiosità è una esigenza religiosa, è un bisogno interiore di spiritualità, è un progressivo maturare di atteggiamenti religiosi; religiosità è passare da una abitudine alla domanda ad un atteggiamento di formazione e di crescita, possibilmente per dare; è ancora passare da un culto utilitaristico ad uno di adorazione. Un teologo protestante, Bonheffer, sostiene che per molti Dio sia semplicemente un «dio tappabuchi», a cui rivolgersi per avere una grazia.
In questa visuale anche il culto per alcuni santi assume un significato di tornaconto personale e sembra rispondere alla logica dell’interesse, per non parlare di una quasi sostituzione di antichi culti pagani; vedi il culto per S. Anna, o per S. Rita, o per S. Antonio. È sintomatico come in un tale tipo di culto non sia mai rientrato un santo come S. Agostino, il quale ci propone una religiosità impregnata di interiorità.

Da quanto tu dici verrebbe quasi di pensare che la società oggi non sia cristianizzata perché prevale la logica dell’interesse e del tornaconto, e non per l’affermazione di ideologie alternative. È così?

Indubbiamente tutto questo contorno sociale è poco cristiano e il messaggio della Chiesa va contro questo tipo di religiosità corrente. Penso che la Chiesa debba condurre la sua battaglia diffondendo con chiarezza il messaggio del Vangelo e dotandosi anche di mezzi di comunicazione sociale. Penso che il Vaticano dovrebbe avere una stazione televisiva il cui obiettivo dovrebbe essere la formazione di atteggiamenti autenticamente religiosi.

E ai giovani voi riuscite ad offrire questa autentica dimensione religiosa?

Il nostro continuo sforzo è che si passi dalla dimensione utilitaristica ad una religiosità nuova, interiorizzata. Per questo noi facciamo leva sulla Parola di Dio, sulla liturgia (una liturgia partecipativa, che stimola la riflessione e sollecita la comunicazione), sulla conoscenza del mondo e la partecipazione alla vita sociale.