Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 2 di 2

Anno XXVI N.113 Luglio 2004 
Claudia De Liso e Maria Franchini

Come preannunciato nel precedente intervento1, dalla consultazione del Catasto Onciario di Modugno si rileva che proprietario del fondo di Balsignano nel 1752 era Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di detta città, di 60 anni2.
Egli era iscritto al catasto nella categoria degli ecclesiastici cittadini come proprietario, tra gli altri beni3, di 10 aratra di terreno con alberi d’olivo e da frutta nel luogo detto Macchia Finestra, o meglio di Balsignano, confinante con i beni del convento di S. Pietro Martire e di Nicola Domenico Tisci, e di «sei aratra di giardino murato con diversi frutti con torre e chiesa nel luogo detto Balsignano, giusta li beni del Reverendissimo Capitolo, e via publica circumcirca»4, quest’ultimo per una rendita stimata di 66 once e 20 tari. Tra i numerosi pesi a suo carico, due sono rilevanti per la presente indagine: il censo annuo di 10 ducati per il capitale di 200 ducati dovuto ai monaci di S. Lorenzo di Aversa su Balsignano, come stabilito nell’atto di vendita del 16065, e la somma annuale di 69 ducati per un capitale di 1250 ducati dovuto ad una certa Teresa Gaudiosi in Napoli, come stabilito in uno strumento del notaio Filippo Dominichiello di Modugno nel 1752.
Tra gli atti del notaio Sabino Romita di Modugno si ritrova l’apertura del testamento di Vito Nicola Faenza6. Dalla lettura dello stesso si evince che il giorno 29 del mese di giugno dell’anno 1760 il suddetto notaio si era recato a Balsignano su richiesta di Vito Nicola, che era giacente infermo in un letto «nel suo casino in una camera allo quarto di basso»7. Lì il sacerdote morente, ma in possesso delle proprie facoltà mentali e di parola, gli aveva consegnato il suo testamento.
Il 30 giugno Francesca Faenza, sorella del defunto, e le figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli avevano richiesto l’apertura del testamento, che si era svolta nella loro casa presso la piazza di Modugno. Il testatore nominava le tre donne eredi di tutti i suoi beni mobili e stabili.
Egli tuttavia dichiarava di aver promesso ad un’altra nipote, Giovanna Faenza, figlia di Giacomo suo fratel lo, al tempo del suo matrimonio con Antonio Ruggì d’Aragona, la somma di 300 ducati, da ottenere sui suoi beni a condizione che lei ed i suoi figli «non molesta- ranno, né daranno fastidio»8 ai suoi eredi per il recupero del denaro. Lasciava inoltre alla suddetta Giovanna Faenza ed alla sorella Domenica un terreno di 9 aratra di estensione posto nel territorio di Modugno, nel luogo detto la Macchia di Balsignano, da vendere per estinguere il conto della dote della signora Teresa Gaudiosi, moglie di Giacomo Faenza loro padre; qualora il ricavato della vendita non fosse stato sufficiente ad estinguere tale conto, le due sorelle avrebbero dovuto sborsare del proprio in quanto eredi e figlie di Giacomo Faenza, secondo le disposizioni contenute in un atto di divisione stipulato dal notaio Filippo Dominichiello.
Infine, il testatore esprimeva la volontà che le eredi impiegassero una rendita di 30 ducati annui nella celebrazione di messe per la sua anima «nelle domeniche di maggio di ciascuno anno nella chiesa della Gloriosissima Vergine detta di Balsignano»9. Qualora poi avessero voluto alienare «il corpo della torre e giardino di Balsignano»10, le donne avrebbero dovuto preferire come compratore il signor Francesco Fragassi, esecutore testamentario.
Nonostante l’invito del sacerdote a non “recare molestia”, tra le eredi Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli da un lato e Giovanna Faenza dall’altro si era «armata una fiera lite, tanto di un gran dispendio, quanto di un grandissimo rancore, ed odio fra esse loro scambievolmente concepito», come riporta un atto rogato a distanza di pochi mesi, l’11 agosto 1760, dal notaio Pietro Massari di Modugno11. Lo strumento fa riferimento ad un precedente accordo scritto per mano del notaio Filippo Dominichiello il 4 giugno 1751, nel quale si disponeva che «il corpo consistente la chiesa, casino, giardeno, con altre sue adiacenze chiamato Balsignano come antica della casa Faenza»12 dovesse passare sempre «dalla casa Faenza discendente da essa Donna Giovanna, e sua sorella Donna Domenica»13 . Questo passaggio sarebbe dovuto avvenire secondo modalità descritte in dettaglio: alla morte di Vito Nicola, dal valore del complesso di Balsignano si sarebbero dovuti detrarre i 200 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ed i 300 ducati promessi a Giovanna Faenza per la dote, cioè in totale 500 ducati, e la cifra restante avrebbe dovuto essere corrisposta da Giovanna agli eredi14 del sacerdote entro otto anni alla ragione del 4%. Nel caso in cui Giovanna non avesse versato questo capitale, al decadere degli otto anni avrebbe perso il diritto di possesso del bene a favore degli eredi di Vito Nicola, ma avrebbe dovuto ricevere da questi i 300 ducati della sua dote.
Proseguendo nella lettura dell’atto del notaio Massari si apprende che, ignorando le suddette disposizioni, Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli, alla morte di Vito Nicola, avevano preteso il possesso di Balsignano, tanto che Giovanna Faenza aveva dovuto ricorrere alla Regia Udienza di Trani per vedere riconosciuti i suoi diritti su quella proprietà.
Dopo la sentenza del tribunale, erano state finalmente eseguite le prescrizioni contenute nell’accordo del Dominichiello. Erano stati nominati quattro periti, due per parte, per stimare il valore del bene. Per conto di Francesca Faenza e delle figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli erano stati incaricati Sigismondo Paterno «mastro muratore di Bari» ed Andrea Longo «misuratore, ed esperto di campagna» della città di Modugno; per parte di Giovanna Faenza erano stati eletti Vito Antonio Buccomino o Bucconcino (la scrittura dà adito a diverse interpretazioni) «mastro muratore» e Paolo «messere publico apprezzato- re, ed esperto di campagna della città di Giovinazzo».
Si era proceduto «da detti mastri fabricatori, alla misura, ed apprezzo tanto della chiesa, sacrestia, torre, piscine d’acqua, ed altro, secondo la di loro perizia, e coscienza l’anno quello stimato, e valutato per ducati quattrocento cinquanta», quindi si era proceduto alla misura del giardino, che si era ritrovato essere di «aratra quattro ordini sederi, e viti trentasei» ed era stato valutato «docati trecento trentotto grana trederi, e cavalli quattro, a ragione di ducati settantadue e meza l’aratro», infine sei alberi d’olivo esistenti in una «cortaglia» esterna sulla strada Bari-Bitritto erano stati stimati 5 ducati, per un valore dell’intero bene di 793 ducati, 13 grana e 4 cavalli15.
Tenuto conto di tutte queste premesse, nell’atto del Massari fu stabilito che Giovanna Faenza avrebbe dovuto corrispondere alle Petrobelli la cifra di 293 ducati, 13 grana e 4 cavalli allo scadere degli otto anni (cioè il valore stimato per il corpo di Balsignano meno i 500 ducati di cui sopra) e fino ad allora otto annualità ciascuna di 11 ducati, 72 grana e 4 cavalli (per la ragione del 4% di cui sopra). Restava inteso che «il suddetto corpo di giardeno con sua torre, chiesa corredi, che sono la suddetta campana, calice, camisa, messale, tovaglia apparata di rose con candelieri, ed altri simili addetti per servizio di detta chiesa, e non altro cortaglia di fuori, e detti alberi sei d’olive»16 era ceduto a beneficio di Giovanna Faenza, che si impegnava a versare i 10 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ogni anno nel mese di dicembre.
Dal catasto onciario è possibile raccogliere qualche notizia in più su Giovanna Faenza. La donna, di 35 anni, appartenente ad una famiglia nobile modugnese, era sposata con Antonio Ruggi d’Aragona, di 44 anni, patrizio della città di Salerno e Trani17, iscritto al catasto nella categoria dei forestieri18. I coniugi abitavano in Modugno in una casa «palazzata» nella strada del Carmine ed avevano quattro figli: Nicola Saverio, Vito Michele, Vincenzo Emanuele, rispettivamente di 12,10 e 2 anni, e Adriana Teresa, di 9 anni, già nel monastero di S. Giorgio a Salerno. Una nota aggiunta qualche tempo dopo al margine della stessa partita catastale precisava che Antonio Ruggì era deceduto e che Nicola Saverio era divenuto capofamiglia19.
Il testamento di Antonio Ruggì era stato raccolto per mano del notaio Pietro Massari di Modugno l’8 giugno del 175320. Il testatore aveva nominato suo erede universale il figlio primogenito Nicola Saverio ed usufruttuaria la consorte Giovanna Faenza; aveva inoltre definito la linea di discendenza in caso di morte di Nicola Saverio senza figli legittimi e naturali.
Nel catastino del 1765 gli «aratra 6 di giardino murato con chiesa, e casino a Balsignano»21, fruttanti una rendita di 66 once e 20 tari, insieme ad un sottano e ad alcuni crediti, apparivano intestati ad Emanuele Ruggi d’Aragona, con la precisazione che nel catastino del 1761 erano in testa di Nicola Saverio ed in testa di un certo Nicola Lo Bianco . Purtroppo il catastino del 1761 è andato perduto e, allo stato attuale delle ricerche, non sono state ritrovate fonti notarili utili a chiarire quali eventi avessero condotto Emanuele a divenire erede della porzione del patrimonio familiare comprendente il fondo di Balsignano.
Dallo stesso catastino del 1765 e da quelli del 1781 e 178423 si rileva che l’abbazia di S. Lorenzo di Aversa riceveva il censo di 10 ducati dagli eredi di Vito Faenza. Il catastino del 1795-96 riporta che i possessori degli «aratra sei di giardeno con chiesa, e casino a Balsignano»24 erano i fratelli Emanuele e Vito de Ruggi d’Aragona, che ne ricavavano una rendita stimata di 66 once, per metà circa (33 once e 10 tari) ceduta all’abbazia di Aversa, come si evidenzia nel computo dei pesi dei due fratelli e come viene confermato nell’elenco delle esigenze della suddetta abbazia25. Nei catastini degli anni successivi la situazione patrimoniale dei due fratelli de Ruggi si presenta la stessa26.
Nelle prime operazioni fondiarie del 1809, propedeutiche alla formazione del cosiddetto catasto provvisorio, Emanuele Ruggi d’Aragona27, «gentiluomo» di Modugno, risulta unico proprietario di una «cocevola», dell’estensione di 4 aratra, di una casa d’abitazione e di una chiesa, con una rendita imponibile di once 66 12 2/3 [28].
Il 6 febbraio dell’anno 1813 Emanuele Ruggi d’Aragona dettava al notaio Vito Carlo Romita il suo testamento29, in cui istituiva come eredi la sua consorte Cristina Cesena nell’usufrutto, e suo fratello Benedetto Ruggi d’Aragona, ex benedettino, e le sue sorelle Maria Luigi Ruggi e Maria Michele Ruggi, religiose coriste nel monastero di Santa Croce, in proprietà di tutti i suoi beni mobili e stabili, crediti, esigenze, con i pesi annessi, ed ancora dei mobili e di tutto ciò che si trovava nella sua casa di abitazione e nel suo «casino, e giardeno murato di diversi frutti con chiesa, in queste pertinenze loco detto Balsignano»30.
Alla morte di Emanuele, che avvenne il 13 marzo 1813, era sorta una lite tra Cristina Cesena, Benedetto Ruggi d’Aragona, Maria Michele Ruggi e Maria Luigi Ruggi, per cui si era fatto ricorso al tribunale di prima istanza e quindi al tribunale civile di Trani, come riferisce l’atto di concordia rogato dal notaio Ludovico Longo di Modugno in data 6 dicembre 182531. Oggetto della contesa era la ripartizione dei beni lasciati in eredità, costituiti da «un predio rustico messo in queste pertinenze, nel luogo detto Balsignano, della estensione di aratri quattro circa, murato, di natura giardino, con diversi frutti, con casino di più camere soprane, sottani, chiesa, sacrestia, e largo avanti il casino, pozzi d’acqua, ed altri membri a detto comprensorio di fabbriche annessi, confinante alla strada che da Modugno mena a Bitritto, al fondo rustico di questo Reverendissimo Capitolo, e al pubblico cammino che conduce a Bitetto»32 e da una serie di cospicui capitali.
Con lo strumento di concordia del Longo fu stabilito che l’intero usufrutto e l’intera proprietà del predio a Balsignano, con tutte le dipendenze ed adiacenze, doveva restare ad esclusivo beneficio di Benedetto Ruggi, che era tenuto ad adempiere ai pesi su di esso gravanti. Entro lo stesso anno 1825 il sacerdote avrebbe venduto il fondo di Balsignano.
Si concludeva così il periodo durante il quale Balsignano era appartenuto alla illustre famiglia modugnese dei Faenza ed alla famiglia di antica nobiltà dei Ruggi d’Aragona, con cui i Faenza si erano imparentati grazie ad una unione matrimoniale.

Note
1 C. DE LISO, M. FRANCHINI, Nuove fonti per la storia di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, n. Ili, dicembre 2003, pp. 20-
nella categoria degli ecclesiastici cittadini Vito Nicola Faenza compare nel catasto onciario nell’elenco dei beneficiati (cc. 747y-748v), sia per il titolo di S. Maria della Croce, cappella extramoenia tra le pertinenze di Modugno, Bari e Bitonto, che per un altro titolo non meglio precisato, ricavandone una rendita di 80 once.
4 Ivi, c. 529r.
5 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48v -51v.
6 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Sabino Romita, prot. a. 1760, cc. 49r-54r.
7 Ivi, c. 50r.
8 Ivi, c. 5 lv.
9 Ivi, c. 52v.
10 Ibidem.
11 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1760, cc. 441r-448v. La citazione è contenuta nella carta 443v.
12 Ivi, c. 442r.
13 Ivi, c. 442v.
14 Le eredi designate da Vito Nicola furono la sorella Francesca Faenza e le figlie di questa, Giovanna e Benedetta Petrobelli.
15 Ivi, c. 444y. I sei alberi di olivo erano situati in uno slargo esterno alle mura, dirimpetto al giardino di proprietà del notaio Dominichiello.
16 Ivi, c. 445r-v.
171 Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese già nel 1569 ed erano una delle famiglie più in vista della città. La famiglia Ruggi d’Aragona proveniva da Salerno ed era ritenuta d’origine normanna.
18 Si erano sposati probabilmente nel 1740, come si deduce da alcuni atti del notaio Pietro Massari di quell’anno riguardanti i due coniugi, in cui si parla del matrimonio come avvenuto da poco tempo. Pare che lo stesso notaio avesse redatto i capitoli matrimoniali dei due promessi sposi.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, c. 464r-v.
20 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1753, cc. 133r-138r.
21 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 23r-v.
22 II signor Nicola Nando Lo Bianco compare tra i presenti come marito di Giovanna Faenza nel sopraccitato atto del notaio Pietro Massari, prot. a. 1753, c. 441v.
23 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 189r; a. 1781, c. 149v; a. 1784, c. 150v.
24 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1795-1798; a. 1795-96, c. 19r.
25 Ivi\ a. 1795-96, c. 139r.
26 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1799-1801,1802- 1804; a. 1799, c. 17r; a. 1800, c. 15v; a. 1801, c. 17v; a. 1802, c. 16r; a. 1803, c. 12r; a. 1804, c. 13r.
27 Emanuele Ruggi d’Aragona fu sindaco di Modugno dall’aprile 1794 al 31 agosto 1798, come è riportato nella serie cronologica dei sindaci di Modugno in N. MILANO, Modugno. Memorie storiche, Arti Grafiche Ragusa, Bari 1970, p. 591».
28 Archivio di Stato di Bari, Direzione delle contribuzioni dirette. Prime operazioni fondiarie, I parte, a. 1809, Modugno, busta 28, fase. 354, n. d’ordine 786.
29 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not, Vito Carlo Romita, prot. a. 1813, cc. 4r-8v.
30 Ivi, c. 5v.
31 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Ludovico Longo, prot. a. 1825, cc. 669r-678v.
32 Ivi, cc. 670v-671r.

LE FAMIGLIE NOBILI DI MODUGNO AGGREGATE AL SEDILE
I Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese nel 1569. La loro arma era bandata d’argento e di rosso. Si riportano le seguenti notizie da B. C. GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle Province Meridionali d’Italia, Forni Editore, Bologna 1965 (ristampa anastatica della edizione di Napoli del 1875), voi. IV, pp. 41- 43: «Nel 1569 il Sedile dei nobili di Modugno era composto delle famiglie Belprato, de Bisanziis, Capitaneo, Capitelli, Cornale, Stella, e Ventura, le quali con conclusione del 15 di agosto di quell’anno vi aggregarono le famiglie Bizzoco, Calò, Cella, Ciolamare, Faenza, Gonnella, de Laurentiis, Maffei, Monacelli, Nipote, Pascale, de Rossi, Scarli, Taglione, e Vergine. Nel 1646 vi aggregarono la Cazzani, e più tardi la Fortunati e la Pepe; ma nel 1745 di tutte queste famiglie non rimanevano che unicamente quelle di Capitaneo, Faenza, Fortunati, Maffei, Pepe, de Rossi, Scarli e Stella, e poiché il loro numero era troppo ristretto, la Real Camera di Santa Chiara, dopo una lunga ed aspra lite, con decreto del 30 di agosto 1760 aggregò al Sedile dei nobili per ciò che riguardava il solo governo della città le famiglie Bianco, Caccabo, Grande, Pieschi, Pinto, Ruccia, Santoro, Scura, Valerio e Violillo».

Si riportano le seguenti notizie da V. SPRETI, Enciclopedia Storico – Nobiliare Italiana, 6 voli., Milano 1932, voi. V, pp. 871-872: «RUGGÌ D’ARAGONA. ARMA: Di rosso alla banda d’argento caricata di un gatto di nero passante. Alias: Di rosso alla banda d’argento caricata da un leone al naturale ed accompagnata da due rose d’oro. Famiglia antica della nobiltà di Salerno, ritenuta d’origine normanna e reputata, da alcuni autori, del sangue dei Guiscardi, come riporta il Candida. Un ramo dei Ruggio si stabilì in Francia, e si disse Rouge». Una diramazione della famiglia si era trasferita a Trani ed era stata aggregata al patriziato di questa città il 10 luglio 1747. «Ascritta, alla abolizione dei Sedili, al Registro delle Piazze Chiuse. La famiglia è iscritta nell’Elenco Ufficiale Italiano del 1922 col titolo di patrizio di Trani (m.), per i discendenti da Emanuele, ascritto al Registro delle Piazze Chiuse».