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La pietà popolare nella Settimana santa

Riproponiamo una riflessione sulla "Pietà popolare nella Settimana Santa" tratta dall'archivio storico della nostra rivista, pubblicata nel 2003 (Anno III, n. 2 - Maggio 1981) a firma del prof. Raffaele Macina.
Buona lettura
mp

Non c’è dubbio che la Settimana Santa sia il momento più ricco ed intenso non solo di riti liturgici canonici, ma soprattutto di pratiche e culti ideati o semplicemente conservati dal popolo che, a dispetto del tempo, riversa in essi tanta parte della sua mentalità di lunga durata. Ed in effetti, nonostante sia stata denominata diversamente a seconda della sensibilità del momento storico (“Settimana grande o maggiore”, “Settimana d’indulgenza”, “Settimana di fatiche e di stenti”, “Settimana ultima” ed infine “Settimana Santa”), sempre essa ha visto una straordinaria partecipazione di popolo.
Il venerdì di passione, che precede la Domenica delle Palme, preannunzia la tragedia di Cristo con la processione dell’Addolorata, che rinnova l’eterno peregrinare della madre alla ricerca del figlio perduto. Un triste presagio non manca neppure nella domenica del trionfo, quando Gesù, già acclamato dalla folla, piange su Gerusalemme.
Molte le usanze della Domenica delle Palme che ancora oggi si rinnovano: in alcuni centri agricoli non mancano contadini che, dopo il rito religioso, si recano nei campi e, come atto propiziatorio, piantano la palma appena benedetta; radicato è ancora il pregiudizio che chi distrugga una palma benedetta sarà colpito da sicura disgrazia.
A Taranto, proprio il giorno delle Palme, si svolgono due aste per l’aggiudicazione dei santi da portare in processione: nell’oratorio della chiesa di S. Domenico si celebra la gara per l’aggiudicazione della Madonna Addolorata; nel palazzo della Provincia vengono contese le statue della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento solenne, al quale possono partecipare solo i membri delle confraternite di San Domenico e del Carmine che ambiscono tutti a conquistare il mistero di Cristo morto o quello dell’Addolorata.
Assai richiesta è anche la troccola, il cui suono sostituisce dopo la morte di Cristo quello delle campane: grazie ad essa, il confratello che se l’aggiudica riveste un ruolo particolare durante la processione dei misteri.
I primi tre giorni della settimana santa sono dedicati alla pulizia della chiesa, alla predisposizione del sepolcro, agli ultimi lavori per l’allestimento delle statue. Una cura singolare viene rivolta alla sistemazione intorno al sepolcro di vasi ricolmi di esili germogli di semi di grano, piantati all’inizio della quaresima e tenuti al buio. Un particolare che esprime il tipo di devozione popolare è rappresentato dai lavori di pulizia del “corpo” e di vestizione della Madonna Addolorata, rigorosamente riservati a ragazze vergini e nubili.
Tutto deve essere pronto per il giovedì santo, quando ogni fedele è obbligato a visitare sette sepolcri, numero che per la tradizione orfìco-pitagorica simboleggia il matrimonio e l’unione perfetta fra uomo e donna. Nel Salento, e in particolare nell’area della Grecia, si va recuperando negli ultimi anni un’antica tradizione, quella di “Santu Lazzaru”, sino a qualche decennio fa assai diffusa e praticata dal lunedì al mercoledì santo: gruppi di persone, per lo più composti da due giovani ed un anziano, vanno in giro e dopo aver cantato davanti ad ogni casa le strofe di “Santu Lazzaru”, tutte ispirate alle sacre rappresentazioni medievali della passione di Cristo, chiedono la questua. Diversi sono i centri pugliesi che, sempre all’insegna delle sacre rappresentazioni medievali, animano particolari versioni della Via Crucis: suggestiva quella di Ruvo, in provincia di Bari, che, con i suoi numerosi figuranti scalzi e vestiti con abiti d’epoca, avanza fra il suono cupo e sordo delle troccole.
Ma il momento culminante dei riti della settimana santa è dato dalle tante processioni dei misteri che sembrano unire le genti di Puglia in una comune atmosfera spirituale. Al proposito, è possibile scoprire in ogni paese, anche piccolo, veri e propri capolavori di arte povera e tradizioni del tutto particolari: dai 5 misteri di Molfetta ai 33 di Ceglie del Campo, dalle cinque croci di Vico del Gargano al Legno Santo di Bitonto; in ogni centro la solenne processione del venerdì santo mescola al sacro qualche aspetto profano che rinvia a leggende o a precisi momenti della propria storia.
Non c’è pugliese che non sia sensibile al fascino della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento a cui non si può mancare: il suo richiamo, forte e ancestrale, sospinge tanti emigrati a presentarsi puntuali il venerdì santo nei loro paesi per assistere a sera inoltrata e in alcuni luoghi anche nel pieno della notte allo snodarsi per le strade di Madonne, santi e soprattutto dei momenti della passione di Gesù che rinviano all’eterna lotta fra tenebre e luce, morte e vita.
Quello della processione dei misteri è per i pugliesi un momento di vita corale che, annullando le personali posizioni di fronte alla religione, manifesta la presenza di una radice comune; una radice antica che, a dispetto dell’opera nullificante della globalizzazione, rinvia a pratiche misteriche dell’area mediterranea e, in particolare, di quella magno-greca.
Già Plutarco, quasi 2000 anni fa, così rappresentava l’atmosfera grave e solenne delle processioni dei misteri, di ispirazione non cristiana, ancora assai diffuse nel mondo greco-romano nel primo secolo dopo Cristo: “Dapprima erramenti e giri affannosi, e in mezzo all’oscurità un vagare tormentoso e senza speranza di salvezza; quindi ogni cosa apparisce piena di dolore, di ribrezzo, di terrore, di sudore e di sgomento”.
Con quegli “erramenti e giri affannosi” si intendeva raffigurare la sofferenza di Demetra, sorella di Zeus e madre divina della terra e dei suoi frutti, che per nove giorni cerca invano la figlia rapita e involata da Plutone nell’Ade, l’eterno regno delle tenebre.
Ma Plutarco non si limita alla rappresentazione dell’atmosfera del primo momento della processione dei misteri e assai incisiva è la descrizione della fase finale: “Poscia sottentra una luce meravigliosa, ovvero accolgono lo sviato luoghi e campagne amene, piene di dolci suoni, di danze, di canti e di apparizioni belle e sacre”. Viene simboleggiata così la gioia incontenibile di Demetra che il decimo giorno non solo ritrova finalmente la figlia Persefone, ma ottiene da Zeus che ella viva nel regno delle tenebre per quattro mesi dell’anno, a partire dall’autunno, e sulla terra per i restanti otto, a partire dalla primavera.
È evidente nei due momenti delle antiche pratiche misteriche la volontà di simboleggiare l’eterno ritorno della vita e della morte e il loro continuo avvicendarsi, che è l’essenza stessa non solo del ciclo della natura e del lavoro dei campi, ma anche del destino dell’uomo che acquista significato unicamente nella prospettiva dell’immortalità. Per questo, è fondamentale aprirsi all’orizzonte dell’eternità impegnandosi nel culto di Demetra, al quale è necessario farsi iniziare per mezzo di speciali riti segreti e perciò misteriosi; riti che hanno senso solo all’interno di un gruppo o di una comunità e che, trascendendo l’intelligenza e l’uso vigile dei sensi, impongono all’individuo di abbandonarsi a precise pratiche cultuali.
Non è diffìcile scorgere ancora oggi gli echi degli antichi misteri. Un canto popolare ancora diffuso in molte zone della Puglia recita: Mo’se ne véne scevedì sande,/Madre Mari se métte u mande/e non avève che ce sci/e sóla sóla se ne partì/ e chiangéve per 1 suoi dolori/ che avéva pèrse il suo figliòle (Ora arriva giovedì santo,/ Madre Maria indossa il mantello/ e non avendo con chi andare,/ se ne partì sola sola/ e piangeva per i suoi dolori/ che aveva perso suo figlio). Come non vedere in questa immagine della ‘Madonna Addolorata che è centrale nei riti della settimana santa e nella processione dei misteri del venerdì santo il rinvio a Demetra che disperata e sola va in giro per il mondo alla ricerca della figlia?
Sino a qualche tempo fa, in alcuni centri della Murgia la processione dei misteri si dirigeva m campagna, dove m un clima di vibrante pathos la Madonna ritrovava suo figlio; la scena registrava la presenza di numerosi bambini vestiti da angeli che impugnavano panieri ricolmi di grano e di altri frutti della madre terra. Prima che la processione riprendesse la via del ritorno in città, il sacerdote benediceva i campi e le messi appena spuntate.
Ecco, l’essere membro di una comunità di iniziati ai riti misterici significava, e forse significa ancora oggi, non solo introiettare immagini che hanno un grande potere simbolico, ma essere convinti di meritare un lieto avvenire dopo la morte. Di riflesso, per i non iniziati si apre invece un destino di dannazione ad una pena eterna.
E forse ancora oggi, a proposito del radicamento delle processioni del venerdì santo, così capillarmente diffuse nei centri pugliesi, si potrebbe ripetere quanto afferma Sofocle: “Tre volte felici quei mortali, i quali hanno contemplato questi sacri riti, allorché tocca loro di scendere nell’Ade; per essi soltanto esiste nel mondo di là una vita, per gli altri non v’hanno che affanni e pene”.Non è diffìcile, dunque, riconoscere nello snodarsi lento e solenne delle processioni del venerdì santo le influenze delle pratiche misteriche assai diffuse nell’area magno-greca: siamo di fronte ancora oggi a riti serali e/o notturni che si svolgono fra il chiarore delle fiaccole e gli esaltamenti prodotti dalla musica; e, d’altra parte, i contenuti riguardano ancora la storia e la vita della divinità celebrata, in particolare le sue sofferenze, la sua morte e il suo eterno ritorno.
Ma, forse, il dato che conferisce alle nostre processioni dei misteri quel fascino che sempre si rinnova è legato al paradosso di un Dio che accetta di svuotarsi: Cristo, “l’unto del Signore”, si è spogliato della sua divinità e si è rivestito della natura umana, condividendone le gioie, le pene e persino la morte. Amare un “Dio impotente”, condividerne la parabola umana, riconoscere il dolore e le sofferenze come segni di identificazione della sua e, ancor più, della nostra vita sembrano essere i tratti caratterizzanti del venerdì santo.
Ed ecco, allora, quel pathos vibrante che accomuna le due ali di popolo mentre la processione, avanzando, rievoca e rinnova l’eterna passione del Dio impotente, dalla quale ogni uomo attinge nuova linfa per affrontare la sua quotidiana passione.
In effetti, in tutte le processioni del venerdì santo, che ancora oggi si svolgono nei numerosi centri della Puglia, sono immancabili quelle statue che ripropongono i momenti più salienti della divina tragedia: Cristo nell’orto del Getsemani che sperimenta la solitudine e l’abbandono persino del “padre suo”; San Pietro, ora assai contrito per aver rinnegato tre volte il maestro; Cristo flagellato alla colonna; la Maddalena e la Veronica, capaci di un gesto di solidarietà; la “nache” (culla), tutta infiorata, di Gesù morto e, infine, la Madonna Addolorata che in diversi centri chiude il corteo.
Presente è ancora la Croce con i simboli della passione: il gallo di Pietro, la lancia che trafisse il costato, l’asta con la spugna imbevuta d’aceto, la mano dello schiaffo, la scala e, infine, i più temibili strumenti di tortura: i tre chiodi, il martello e la tenaglia.
Non manca talvolta qualche bambino vestito da centurione per evocare l’età in cui fu compiuto il deicidio; un’età alla quale rinviano anche altri elementi che hanno finito coll’assumere un semplice valore simbolico. E’ il caso della bassa banda (flauto, piatti, tamburo e grancassa) con la quale si apre dappertutto la processione dei misteri: si intende così richiamare la pratica di Roma imperiale di far precedere sempre un corpo militare da tamburi e trombe. E, appunto, fu proprio una coorte romana, guidata da Giuda, a catturare Gesù nel Getzemani.
Ma, al di là della rievocazione, lo snodarsi della processione dei misteri offre oggi una occasione salutare e irripetibile nell’anno: in queste nostre città in cui il traffico finalmente tace del tutto e la stessa illuminazione pubblica è inibita per qualche ora, è possibile rivivere la dimensione del silenzio, da sempre propedeutica alla riscoperta della propria interiorità.
E, dopo i misteri, ecco prepotente il trionfo della vita, ecco il recupero, sempre più forte negli ultimi anni, de la scarcédde, questa specie di ciambella antica, adornata di un numero dispari di uova, che la ragazza nubile confezionava con le proprie mani e regalava con intento benaugurale al suo promesso sposo il dì di Pasqua.

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[2003] Pietà popolare nella settimana Santa

Il 10 Marzo 1799, fra storia e tradizione popolare

Il 10 Marzo del 1799 viene ricordato come l'assedio di Modugno da parte di un contingente di Sanfedisti che attacca Modugno, della Repubblica Napoletana, ma viene respinto. È una ricorrenza molto sentita in quanto legata all'apparizione della Madonna Addolorata che salvò la città dall'attacco nemico. La nostra rivista, nel febbraio 1982, ha pubblicato un interessante contributo sull'argomento, a firma del prof. Raffaele Macina, che si ripropone per la sua completezza di contenuti e riferimenti. A seguire il canto popolare - "U Nevendanove" - con la traduzione in calce a ciascuna strofa. 
Buona lettura [mp]

Nuovi Orientamenti, anno IV, n. 1 – febbraio 1982

Per la ricorrenza del 10 marzo abbiamo voluto pubblicare questo bellissimo canto popolare che in modo molto sintetico e con rappresentazioni figurate di autentica poesia illustra gli eventi di quella tragica giornata del 10 marzo 1799, quando Modugno subì un tentativo di assalto da parte dei carbonaresi e abitanti di altri comuni limitrofi.
In questo modo vogliamo come rivista non soltanto dare un contributo alla conoscenza del nostro passato, ma soprattutto ricollegarci alle nostre tradizioni storiche e popolari per una loro reale comprensione finalizzata alla riappropriazione di quei contenuti che noi riteniamo indispensabili per ristabilire una identità culturale e storica della nostra città.
Il canto popolare «U Nevandanove» è ormai ignoto ai molti e soltanto qualche vecchietta ricorda la sua musicalità malinconica, ma dolce. É un vero peccato che qui possiamo presentare solo il testo del canto, perché molto del suo valore artistico, della sua serena solennità si perde quando lo si dissocia dalle sue note. La melodia di questo canto provoca in chi lo ascolta un rassicurante atteggiamento di tranquillità e quasi di sicurezza interiore e manifesta una coralità popolare di convinzioni e di partecipazione che, sia pure per un attimo, ti solleva dalla atomizzazione del nostro vivere quotidiano.

I primi versi ci presentano subito la figura di un cantastorie che si presenta per quello che è: non un poeta, né un ignorante (terragne), ma soltanto un uomo di buon senso (de buène sendeminde) che con umiltà chiede un po’ di attenzione perché possa narrare un vero evento storico. E il popolo, incapace com’è di leggere e cosciente di poter apprendere qualcosa soltanto dal cantastorie e non dagli intellettuali del tempo, si raccoglie con curiosità intorno a lui.
Dopo la sua presentazione il cantastorie comincia subito la narrazione degli eventi storici: l’assalto del 10 marzo, operato da tanti piccoli paesi (le tanda paisotte che s’eran aunì erano Carbonara, Ceglie, Loseto, Bitritto, Bitetto, Valenzano, Casamassima, Noicattaro, Gioia, Noci).
È forse qui opportuno ricordare che nel 1799 tutto il Meridione era diviso fra città che avevano aderito alla Repubblica Partenopea, instaurata a Napoli dai circoli illuministici col sostegno militare dell’esercito francese, e città fedeli alla monarchia e alla casa borbonica. Modugno insieme a Bari, Altamura e soprattutto alle città costiere della provincia, aveva aderito alla Repubblica Partenopea e pertanto era continuamente minacciata da quei paesi che invece continuavano a prestare la loro fedeltà ai borboni e a lottare per un loro ritorno a Napoli.
Il 10 marzo del 1799, quindi, gruppi armati provenienti dai paesi citati insieme a donne, vecchi e bambini, tentarono di assalire e punire la Modugno giacobina, ma soprattutto di fare il saccheggio della città per ricavarne un ricco bottino.
Il canto è assai preciso nella narrazione degli eventi storici che presenta: è vero infatti che il gruppo più numeroso degli assalitori era formato dai carbonaresi e che furono questi, con alcuni bitrittesi e bitettesi, a devastare il convento degli agostiniani.

È vero anche che nel convento degli agostiniani essi ammazzarono a coltellate quattro giovani conversi che erano rimasti lì, mentre tutti gli altri frati erano rifugiati nella città murata.
È anche vero che gli assalitori avevano un cannone, ma le cannonate che riuscirono a sparare furono sette e non quattro come dice il canto, ed è anche esatto che una di queste cannonate si conficcò in un palazzo di periferia a ridosso delle mura che si sporgevano sull’attuale via X Marzo; il canto individua lo stabile colpito nel frantoio (u trappite) che si trovava a capo della citata via e che fu poi abbattuto qualche decennio fa. Attualmente sul terreno del vecchio frantoio, i cui proprietari esercitavano la compravendita all’ingrosso di tutti i prodotti agricoli di Modugno, insiste la villa dell’ing. Zaccaro.
Infine è confermato storicamente che gli assalitori si radunarono intorno alle mura di Modugno in mattinata e che il tentativo di assalto si protrasse sino a sera inoltrata, perché, come gli stessi carbonaresi dissero poi, «li era mancata la munizione di polvere e di palle»
Se da una parte il canto si rifa agli eventi storici, dall’altra però non fa alcun cenno alle loro cause reali: non v’è alcun riferimento alla Repubblica Partenopea, ai Sanfedisti, all’anarchia del 1799, alle bande dei delinquenti, al governo repubblicano dell’Università di Modugno.
Esso presenta una situazione metastorica, si distacca cioè dal periodo storico dell’evento che vuole narrare, e illustra un fatto peculiare di Modugno che può anche non aver data o, il che è la stessa cosa, può essere collocato indifferentemente in un secolo qualsiasi c anche nel nostro secolo.
L’atmosfera dell’evento, quindi, non è scandita dal tempo, si adatta a tutti i tempi, è universale, eterna, non assoggettabile a principi e interpretazioni della ricerca dello storico, ed essa è tutta finalizzata a presentarci un fatto straordinario e miracoloso che sfugge a ogni tentativo di spiegazione razionale: l’apparizione della Madonna Addolorata, «de chedde ca mors ne volse liberaje», (di quella che ci volle liberare dalla morte), come dice il canto. E quel «ci » rafforza ancora di più l’atmosfera metastorica, eterna e perciò religiosa del canto: la Madonna Addolorata, infatti, non liberò soltanto i modugnesi del 1799, ma volle liberare anche «noi».

In questa atmosfera le motivazioni dell’evento storico diventano semplici e si colorano di moralità e di autentica religiosità popolare. L’assalto è opera dei carbonaresi che inspiegabilmente si «arrabià gondrì de li medegnise» (si arrabbiarono contro i modugnesi).
Questa semplicità popolare crea ancora la quarta strofa: «Le sa ce tutte u uavévene lu avvise», (Lo sai se tutti avessero avuto l’avviso), nessuno sarebbe stato ucciso c tutti si sarebbero salvati. I fatti non andarono così: la notizia dell’assalto la ebbero tutti, e non poteva essere che così, visto che gli assalitori incominciarono a radunar si dalle prime ore del mattino e l’assalto vero c proprio incominciò alle ore 14.00 e che ancora la devastazione del Convento degli agostiniani si ebbe a pomeriggio inoltrato.
Il tempo perché ognuno, quindi, trovasse riparo fra le mura della città vi fu, in realtà i quattro conversi uccisi furono costretti a restare nel convento, perché furono impegnati a farvi da guardia dai frati e dal priore che invece preferirono mettere la pelle al sicuro, rifugiandosi fra le mura di Modugno.
Il canto, però, ignora tutto questo che ovviamente non poteva essere inserito in quella atmosfera metastorica e di serena religiosità e presenta l’uccisione dei conversi come qualcosa dovuto soltanto alla fatalità, che assolve tutti e acquieta le coscienze. È questo un tipico atteggiamento della nostra tradizione popolare che tende sempre a porre una pace formale e un formale spirito di riconciliazione fra le diverse parti, rinunciando così alla ricerca di colpe e responsabilità.
Addirittura anche agli assalitori la quarta strofa attribuisce un formale senso del pudore: i carbonaresi uccidono sì i quattro conversi, ma non hanno il coraggio di consumare il misfatto davanti agli occhi vigili della statua di San Nicola che stava in una nicchia davanti a loro. Ed essi allora mettono un panno davanti al santo, che così non assiste al barbaro eccidio di quattro giovani seminaristi indifesi, e soltanto dopo aver compiuto questo atto di riverenza religiosa possono ammazzare.
Ed ecco finalmente l’evento straordinario che dovrà essere raccontato ad un altro paese: l’apparizione della Madonna Addolorata. La Madonna appare sul muro del frappeto, dice il canto, e si alzava e si abbassava per invogliare quasi gli assalitori a colpirla e per attirare la loro attenzione su di sè, distogliendola dall’assalto della città. Qui la mentalità religiosa popolare crea una bella immagine: la Madonna, spesso presentata dalla cultura ecclesiastica come luce e perciò stella, raccoglie nel suo manto tutte le palle di fucile e di cannone e le trasforma in stelle, simboli di luce e di pace.

La cronaca di G. Saliani presenta l’apparizione della Madonna diversamente, affermando che i modugnesi furono «visibilmente difesi dalla Vergine Santissima, e da nostri protettori San Nicola Tolentino e San Rocco, come gli stessi nemici ne fanno fede» e che gli assalitori videro su un tetto proprio vicino a un punto debole delle mura «una Signora in bianca gonna, scapigliata, col fazzoletto alle mani, avendo a lato due guerrieri armati di fucile, che andavano dal lato del tetto all’altro, alle quali, e specialmente alla suppusta donna avevano tirate più e più fucilate, ne mai era loro avvenuto di colpirla, dicendole tali, e tante parole ingiuriose, che tremo a rammentarle, non che a lasciarle scritte».
Il canto presenta l’apparizione della Madonna come fatto certo, sul quale non è possibile avanzare alcun dubbio, al pari degli altri avvenimenti di quella giornata del 10 marzo, e qui la fermezza della fede popolare, ponendosi il problema di presenti e future critiche sul miracolo, vuole demolire ogni possibile dubbio, rifiutando con pacata fermezza la tesi di quanti vollero individuare in quella donna che si « alzava e si abbassava su quel muro » una vecchia fattucchiera (masciale).
Qui la forza della convinzione popolare è così corale che bastano poche parole per liquidare la posizione di quei pochi die, con fonato animo denigratorio, hanno osato mettere in discussione l’apparizione della Madonna Addolorata. Queste poche parole esprimono un distacco profondo dell’animo popolare da quei pochi che non sono tenuti in seria considerazione e sui quali il canto stende il manto dell’anonimato, (decèrene ca iève na vecchia masciale), che esprime il massimo del disprezzo e della differenziazione popolare.
I primi due versi dell’ultima strofa, infine, riecheggiano l’atmosfera tipica del partenio che, come è noto, era un componimento lirico tanto caro alla poesia greca destinato ad essere cantato da un coro di fanciulle in onore di una dea. Infatti il canto, rivolgendosi alle donne madri, le invita a mandare in chiesa le loro figlie nubili (vacandì), che qui svolgono il ruolo delle vergini del partenio, perché onorino e chiedano perdono alla Madonna per le colpe commesse da tutta la comunità modugnese.
C’è nella chiusura del canto la tradizionale convinzione popolare che interpreta un evento funestro, nel nostro caso l’assalto del 10 marzo, come conseguenza e giusta punizione divina dei peccati commessi. Le fanciulle modugnesi, quindi, chiedendo perdono e onorando la Madonna, svolgono un ruolo sociale e religioso utile a tutta la comunità, perché intercedono la continua protezione della Madonna su Modugno, allontanando così dalla città il ripetersi di eventi funesti nel futuro.
Altamente poetica, quindi, la conclusione del canto soprattutto per l’evocazione di temi classici che sembrano quasi voler essere confermati dal costrutto latineggiarne dell’ultimo verso (de chédde ca morse ne volse liberajei).

prof. Raffaele Macina

U NEVANDANOVE

A vu signure ci adénze me date,
u nevandanove ve vogghje fa sendì,
ce nan ire pe la Madonne Addelorate,
Medugne aveva sta tutt’abbattute.

A voi signori se mi date retta,
il novantanove vi voglio far sentir,
se non fosse stato per la Madonna Addolorata,
Modugno sarebbe stato tutto abbattuto.

Nan sonde ni puéte manghe terragne,
Gesù m’a date ne buène sendeménde,
Gesù m’a date ne buène sendeménde,
pe fa sendì la storie a chissa gende.

Non sono né poeta e neppure ignorante,
Gesù mi ha dato un buon sentimento,
Gesù mi ha dato un buon sentimento,
per fare sentire la storia a questa gente.

Nuje alle dèsce de marze furema assaldate,
e tanta paisotte s’ir an aunì,
gondrì de li medegnise si arrabbià,
scennì fescenne nande a le Carnalise,
e a Sanda Jestine forene le prime accise.

Noi il dieci marzo fummo assaliti,
e tanti piccoli paesi s’erano uniti,
contro i modugnesi si arrabbiarono,
andammo fuggendo davanti ai carbonaresi,
e a Sant’Agostino furono i primi uccisi.

Le sa ce tutte u uavévene lu avvise
e povere l’aide ci forene angappate,
e povere l’alde ci forene angappate,
se ne fescèrene suse come rabbiate.

Lo sai se tutti avessero avuto l’avviso
e poveri gli altri che furono presi,
e poveri gli altri che furono presi,
se ne fuggirono sopra come cani arrabbiati.

Sanda Necole jinda nu nicchie stève
e chi nu panne nande già chemegghiare,
e chi nu panne nande già chemegghiare,
’nge ne chendarene dèsce cherteddate.

San Nicola in una nicchia stava,
e con un panno davanti lo coprirono,
e con un panno davanti lo coprirono,
gliene contarono dieci coltellate.

E a nalde pajise u uavèvene ce rechendaje,
sendite chèssà storie quande jè pelile,
sparorene finghe a quatte cannenate,
facerene lu pertuse a lu trappite.

E a un altro paese avevano di che raccontare,
sentite questa storia quant’è pulita,
spararono fino a quattro cannonate,
fecero un buco al trappeto.

Na donne ca ’nge stave sopra quel mure
e chedde ca s’alzave e s’abbasciave,
e chedde ca s’alzave e s’abbasciave,
decèrene ca ieve na vecchia masciale.

Una donna che stava su quel muro
e quella che si alzava e si abbassava,
e quella che si alzava c si abbassava,
dissero che era una vecchia fattucchiera.

Guardate quande stèlle tène jinda lu mande
e chidde ièvene le palle ce recevève,
la Madonne le recevève cu mandesine
e quande pall’avève l’ammenave ‘nzine

Guardate quante stelle ha nel manto
e quelle erano le palle che riceveva,
la Madonna le riceveva col manto
e quante palle aveva le menava in grembo.

Da la matine stèttere fing’a la sère,
mo ’ngi’arrevaje lore de vindunore,
iunì che l’alde si la trascherrève:
ame fernute la menizione.

Dalla mattina stettero fino alla sera,
quando arrivò l’ora ventuno,
uno con l’altro parlava:
abbiamo finito le munizioni.

Vu donne ce tenite le file vacandì,
mannatele jinda la chièse a cercà perdone,
’nge stù Matra Marie Addelorate,
de chedde ca mors ne volse libèraje.

Voi donne se avete le figlie nubili,
mandatele nella chiesa a chiedere perdono,
ci sta Madre Maria Addolorata,
quella che dalla morte ci volle liberare.

Disegni Amina Pepe - Ricostruzione eventi del 1799

Altare dedicato a Maria Santissima Addolorata 
Chiesa Matrice di Modugno

31 dicembre 1887

Relazione del Sindaco di Modugno sullo stato di salute dei bambini

Una relazione del Sindaco afferma che durante l’anno lo stato di salute dei bambini modugnesi è stato particolarmente negativo, poiché essi sono stati in massa «afflitti da difterite e morbillo».

Buon anno 2023

La rivista “Nuovi Orientamenti” augura ai propri lettori, nonché a tutta la cittadinanza, gli auguri più sinceri per un sereno anno nuovo, sperando che possa portare pace e serenità.
Il 2023 lo dedichiamo a Tommaso Di Ciaula, con l’intento di richiamare l’attenzione sulle sue opere, così come è stato fatto con la pubblicazione del libro “Tommaso Di Ciaula tra fabbrica e poesia” a cura del prof. Serafino Corriero (Edizioni Nuovi Orientamenti, Modugno, 2022 pp. 175).
Buon anno a tutti

mp

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26 dicembre 1860

Nota spese del Comune di Modugno per le spese del plebiscito del 21 ottobre 1860

Il Comune di Modugno invia all’Intendenza di Bari la nota delle spese erogate in occasione dell’organizzazione nella città del plebiscito del 21 ottobre 1860 con il quale si era decisa l’annessione del regno delle due Sicilie al Regno d’Italia.

20 dicembre 1212

Federico II dona anche Modugno all’arcivescovo di Bari Berardo Costa

Federico II dona anche Modugno in feudo all’arcivescovo di Bari Berardo Costa: «Concedimus et confirmamus ipsi et Baren Ecclesiae suae in perpetuum Bitrictum, Meduneum…»

18 dicembre 1620

Obbligo di rispettare la Convenzione del 1511 tra le Università di Bari e Modugno

Nuovo decreto del Consiglio Collaterale di Napoli che obbliga le Università di Bari e Modugno ad osservare la convenzione tra le due città risalente al 1511, che disciplinava i diritti di bonatenenza per i cittadini modugnesi che possedevano terreni nel demanio di Bari; in particolare era stato fissato che la «città di Modugno pagasse ogni anno a quella di Bari ducati 66, di cui 20 per tutta quella quantità di olio che nasceva nei poderi dei Modugnesi nel territorio di Bari e ducati 46 per i beni burgensatici posseduti dai cittadini medesimi nel territorio stesso».

17 dicembre 1876

Viene istituito a Modugno un “ospizio di mendicità”

Viene istituito a Modugno un «ospizio di mendicità» in alcuni locali dell’ex convento dei Cappuccini.

16 dicembre 1631

Primo giorno di una terribile eruzione del Vesuvio

Primo giorno di una terribile eruzione del Vesuvio, che dura sino al 23 dicembre: una grande quantità di cenere infuocata cade persino a Modugno, provocando terrore tra gli abitanti.

Balsignano

Con questa prima «monografia» si introduce, nel nostro sito internet, la rubrica «Rassegne tematiche» dove saranno pubblicate le raccolte degli articoli riguardanti argomenti di particolare interesse.
La prima non poteva che riguardare il Casale di Balsignano, a conferma dell’attenzione che da sempre «Nuovi Orientamenti» riserva al sito archeologico, con l’instancabile impegno del prof. Raffaele Macina, direttore della rivista.
Lo scopo di tale iniziativa è duplice: da un lato non disperdere il prezioso lavoro dei redattori attraverso la digitalizzazione dei rispettivi contributi con l’archiviazione elettronica nel sito internet, dall’altro fornire ai lettori un riferimento unico per una più agevole consultazione nel tempo.
Sono in programma altre rassegne su argomenti diversi, come le nostre tradizioni, affrontate nell’ambito della rubrica «A Medugne se disce adacchessè», e sulle le nostre radici, in relazione alle quali ci si soffermerà anche sui personaggi modugnesi che in ogni tempo, ciascuno in relazione alle proprie specificità e competenze, hanno dato prestigio alla nostra città.

marco pepe

Modugno, agosto 2022

Balsignano, 2022.08

A MEDUGNE SE DISCE ADACHESSÈ

La rubrica “A Medugne se disce addacchesse (parle kome t’à ffatte màmete)” della nostra rivista, fu inaugurata con la pubblicazione n. 2 (Dicembre 1979), con un articolo del prof. Raffaele Macina.
Il tentativo fu quello di fissare, sulla base della consultazione di una specifica bibliografia, alcune nozioni e princìpi fonetici e ortografici, necessari per leggere e trascrivere il nostro dialetto.
Nel tempo questo progetto ha determinato, anche e soprattutto, il recupero di un ricco patrimonio culturale che, in gran parte, è stato possibile grazie alla ricerca costante di Anna Longo Massarelli, e di molti altri collaboratori della rivista, che hanno manifestato un profondo interesse per la nostra cultura popolare.
La monografia di 447 pagine, composta da 195 articoli, è strutturata con un indice generale per consentire una più agevole consultazione degli argomenti di maggiore interesse.
Credo non sia necessario aggiungere altro, se non un caloroso grazie per l’attenzione, con l’augurio di una buona lettura.

marco pepe

Modugno, ottobre 2022

A Medugne se disce adachessè, 2022.10

GLI EDITORIALI

Dopo quelle su “Balsignano” e “A Medugne se disce addacchesse (parle kome t’à ffatte màmete)” eccoci arrivati alla terza monografia riguardante gli editoriali pubblicati dal 1979, anno di fondazione della rivista “Nuovi Orientamenti”, fino all’ultimo numero del 2022. (Anno XLIV n. 180).
In questi quarantaquattro anni di attività gli editoriali hanno fornito numerosi spunti di riflessione su argomenti di importanza significativa, riguardanti la vita politica e sociale di Modugno, e non solo.
Sono state affrontate le vicende di Palazzo Santa Croce, attraverso le diverse Amministrazioni che si sono succedute, le interviste ai sindaci, la parentesi della Gestione Commissariale, le campagne elettorali, la questione dell’Ospedale Civile, gli avvenimenti del bicentenario 1799, e molto altro ancora.
Gli articoli a firma del prof. Serafino Corriero e del prof. Raffaele Macina, ai quali va il nostro ringraziamento, costituiscono un patrimonio della rivista che si è ritenuto giusto condividere con quanti vorranno ripercorrere gli eventi che ormai costituiscono la storia della nostra Città.
Come sempre un caloroso grazie per l’attenzione e, soprattutto, buona lettura.
marco pepe

Editoriali [1979-2022]

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