Pubblichiamo qui, opportunamente rielaborata, la presentazione del libro di storia “Modugno dalle origini al XV secolo”, di Raffale Macina, che il prof. Serafino Corriero ha tenuto nel pomeriggio di domenica 27 giugno nella corte del castello medievale di Balsignano, nell’ambito della IV edizione della festa di Maria Santissima di Balsignano.

Anno XLIII N. 176 Agosto 2021
Serafino Corriero

L’evento al quale noi oggi stiamo qui partecipando è un evento di grande importanza per tre ragioni fondamentali.

La prima ragione è che oggi si presenta qui un libro di Storia, e noi abbiamo bisogno di Storia, perché abbiamo bisogno di conoscere la nostra Storia, che, al di là di quella individuale e famigliare, è anche la nostra storia collettiva, e quindi la nostra storia comunale, e nazionale, ed europea, e, sempre più, globale e perfino planetaria, visto che, dalla diffusione della pandemia da Covid 19 ai sempre più evidenti e pesanti cambiamenti climatici, oggi è addirittura in gioco la sorte stessa del nostro pianeta. Abbiamo dunque bisogno di conoscere la nostra Storia perché abbiamo bisogno di conoscere a fondo la nostra identità all’interno della comunità di cui facciamo parte, che è la nostra polis. Noi uomini, infatti, come sosteneva Aristotele, siamo “animali politici”, cioè esseri viventi che, a differenza degli altri animali, si sono organizzati in comunità politiche, cioè in organismi comunitari formati da cittadini (politeti), cioè da uomini e donne che sono in generale consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, e che solo in virtù di questa consapevolezza possono esercitare la loro sovranità, cioè la loro facoltà di partecipare e di decidere delle sorti della loro comunità, e quindi, per una parte non certo secondaria, della loro stessa vicenda umana.

La seconda ragione dell’importanza di questo evento è che oggi si presenta qui un libro di storia locale, che, come si richiede ad un autentico libro di storia, non ha l’intento di dare lustro, dignità e prestigio a questa nostra nobilissima città, ma si prefìgge di farci meglio conoscere chi siamo noi modugnesi, e perché siamo così, e quindi quale può essere il nostro ruolo specifico all’interno della più vasta comunità regionale o nazionale di cui facciamo parte, e quindi quale percorso noi possiamo individuare per costruire degnamente il nostro futuro. La conoscenza della nostra storia locale, inoltre, ci consente anche di capire più facilmente quei processi e quelle dinamiche, storiche, politiche, economiche, sociali, che regolano la nascita e lo sviluppo, e talvolta anche la fine, di una piccola comunità, sottoposta a stimoli interni (la contesa civile per esercitare il comando) ed esterni (la necessità di difendersi da minacce aliene o l’ambizione di espandere la propria influenza sul territorio). E quindi, attraverso lo studio della nostra storia comunale, e della Storia in generale, noi possiamo capire più facilmente come funzionano ancora oggi quei meccanismi, e come noi possiamo intervenire per orientarli in una direzione anziché in un’altra, che è in sostanza il senso di una coscienza civile e politica. Io sono stato per 35 anni un docente di Lettere nei Licei, ma, tra le diverse discipline che ho insegnato, io considero il mio insegnamento di Storia (greca e romana nel biennio) come quello che più ha inciso sulla formazione scolastica e civile dei miei studenti. Ora, un libro di storia locale (generale) non si improvvisa, ma ha bisogno di raccogliere tutto quello che fino a quel momento è stato scritto sulle vicende di una piccola comunità, e quindi giustamente il prof. Macina rende merito a quegli autori che prima di lui si sono cimentati in questa non facile ricerca. Se non che, questi autori hanno per lo più in passato indagato su eventi limitati e circoscritti, fornendo di essi piuttosto delle cronache o delle relazioni che non analisi e interpretazioni propriamente storiografiche: è il caso, ad esempio, di Vitangelo Maffei, che nel 1774 pubblica appunto una “Relazione delle cose notabili della città di Modugno”, o di un altro precedente Vitangelo Maffei che, come deputato alla Sanità, pubblicò una Cronaca sulla peste del 1656 a Modugno, o di Giovanni De Bellis, che nel 1892 scrive su “Modugno e i suoi principali uomini illustri”. E così, per vedere compilata la prima opera di storia generale sulla nostra città, bisogna attendere il 1970, quando l’arciprete don Nicola Milano pubblica le sue “Memorie Storiche”: opera preziosissima, senza dubbio, ma che presenta anche grossi limiti, sia sul piano del metodo che su quello dei contenuti. Ora, il compito dello storico che viene dopo è proprio quello di superare questi limiti, di vagliare criticamente i documenti utilizzati, di ampliare e approfondire la ricerca alla luce delle nuove indagini compiute sul territorio, di attingere a saggi e studi il più possibile autorevoli. Nell’opera di don Milano, infatti, spesso si indulge a condividere ipotesi piuttosto fantasiose, legate più alla tradizione orale che non alla ricerca analitica, ipotesi per lo più intese a dare lustro alla nostra città e a trasmettere sentimenti di orgoglio e di dignità morale e religiosa. Ebbene, il compito dello storico non è questo; il compito dello storico è prima di tutto quello di procedere all’accertamento dei fatti, e poi ad una loro valutazione all’interno del processo storico nel quale quei fatti si inseriscono. Per questo io, nella presentazione scritta nel libro, mi sono permesso di affermare che, se la Storia, talvolta, forse, può essere maestra di vita, la ricerca storica non è di per sé maestra di nulla, perché essa consiste in una operazione scientifica, fondata su metodi e strumenti che sono dettati dalla opportunità delle circostanze e dalla capacità di indagine dello studioso che se ne occupa. Da questo punto di vista, lo storico è in effetti una specie di detective che deve condurre un’indagine, e quindi si deve affidare a indizi e testimonianze – che nel nostro caso sono costituiti dai documenti -, ritenuti affidabili e importanti ai fini della ricerca. Pertanto, possiamo dire che con questo libro che presentiamo oggi ci troviamo di fronte in realtà al primo vero libro di storia su Modugno, un libro integrale e coerente di Storia, perché il prof. Macina è uno storico che ha già pubblicato diversi saggi monografici, ed è stato per molti anni docente di Storia e Filosofìa nei Licei, e quindi sa ben maneggiare gli strumenti con i quali opera.
Per quanto riguarda, poi, i contenuti di questo libro, è naturale che una nuova metodologia conduca a fare nuove scoperte, come anche a mettere in discussione vecchie convinzioni e consolidate fantasie. Così è, per esempio, per la diffusa opinione che Modugno sia stata fondata dagli antichi Greci provenienti da Medon o da Modon, o che il toponimo Medunio indichi una città posta in medio, o che il nome Modugno provenga da Mottugno, con riferimento alla Motta come primo nucleo abitativo della città, o, ancora, che Modugno sia stata sede vescovile già nel 1025, o – altra pervicace convinzione davvero dura a morire – che il cardo selvatico simbolo della città voglia indicare lo spirito di libertà e di orgogliosa indipendenza dei suoi abitanti, che si sarebbero sempre sottratti a servitù feudali. Questa del cardo selvatico è una spiegazione del tutto infondata, perché, come dimostra il prof. Macina in quello che forse è il capitolo più minuzioso dell’intero libro, il cardo selvatico è dappertutto presente nell’araldica civica, dalla Francia al Canada alla Scozia, come simbolo di protezione e di difesa, e fu introdotto nello stemma di Modugno nella seconda metà del ’300, quando la città si dotò per la prima volta di una cinta muraria ad opera dell’arcivescovo Bartolomeo Carafa, che allora governava la mensa arcivescovile di Bari, a cui Modugno era sottoposta. Ma i risultati a cui Macina perviene nella sua ricerca storica sono davvero tanti. Per esempio, finora nessuno sapeva che Modugno sia stata una piccola contea normanna quando, dopo la conquista di Bari nel 1071, i Normanni, nell’ambito di una struttura politica tendenzialmente centralizzata, diedero vita a tante piccole contee governate da piccoli feudatari, tra i quali un certo Bosus comes castrum Medunei, ovvero Boso, conte, appunto, del luogo fortificato denominato Meduneo.
Il contributo dei Normanni allo sviluppo di Modugno è stato veramente importante. Su questo argomento, il prof. Macina ha aperto uno scrigno, un baule dal quale emergono preziose informazioni sul processo attraverso il quale Modugno, da semplice locus, che è solo un agglomerato di case sparse, talvolta riunite intorno ad un modesto edificio religioso, comincia a costruire il primo nucleo di quello che sarà poi il borgo; e quindi anch’io finalmente ho capito che cos’è la Motta, che fu qui introdotta proprio dai Normanni. La “motta”, infatti, è una costruzione tipica della Normandia, che poi i Normanni diffusero, nel corso delle loro migrazioni, in Francia occidentale, in Germania, in Italia meridionale, e quindi anche a Modugno. La “motta”, infatti, è un’altura, che può essere naturale, come avviene a Mottola (qui, davvero, il nome della città deriva da “motta”), o artificiale, come a Modugno, dove i Normanni costruiscono la “motta mediterranea”, cioè un luogo sopraelevato formato col terreno di risulta di uno scavo circolare che funge da fossato e sul quale viene collocata un’opera di difesa, che può essere una torre o una palizzata, o un’altra cosa del genere, che trasforma quel semplice locus in un castrum o castellum, che non è affatto un castello, come è stato ancora una volta immaginato, ma è semplicemente un luogo circoscritto e fortificato.
Un altro importante risultato contenuto in questo libro è dato dallo studio del processo di romanizzazione del nostro territorio. Anche su questo argomento la ricerca storica è stata finora assai carente, ed è merito specifico di Macina aver ricostruito con accuratezza il sistema viario che interessava il nostro territorio. E così, scopriamo che, oltre alle più note vie Traiana e Minucia, attraverso la nostra zona industriale passava anche la via Gellia, attestata dal ritrovamento di un cippo miliare che segnalava la posizione di quel sito a 52 miglia da Canosa, lungo una strada fatta costruire dal pretore romano Lucio Gellio: cippo che, purtroppo, finì sepolto nelle fondamenta dello stabilimento della FIAT-SOB nel 1970, ma che lo studente universitario Andrea Favuzzi, che poi sarebbe stato mio collega nell’Istituto di Filologia Classica dell’Università di Bari, fece in tempo a descrivere e interpretare.

La terza ragione, infine, che rende importante l’evento di oggi, è la più nota: siamo a giugno del 2021, e questo libro di storia viene presentato nell’ambito delle celebrazioni del Millennio della nostra città, visto che il suo più antico nome Medunio ricorre per la prima volta in una pergamena del maggio 1021, custodita presso l’Archivio della Basilica di S. Nicola a Bari, che noi stessi abbiamo potuto personalmente visionare e studiare. Ma non è, questa, una pura coincidenza: in realtà, il prof. Macina ha lavorato negli ultimi anni al suo libro di storia proponendosi di pubblicarlo proprio in occasione del Millennio; e ci è riuscito!
E di questo noi lo ringraziamo, augurandogli di completare presto l’opera con la pubblicazione del secondo volume, che è già in preparazione.