Dopo il successo della “Notte di S. Giovanni”, per il casale medievale
si aprono nuove prospettive

Anno XXIX N. 128,129 Agosto 2007
Serafino Corriero

Dopo secoli di abbandono e di letargo, il casale medievale di Balsignano è tornato, sia pure per una sera, a vivere. A vivere nel senso che ha accolto nell’ampia area racchiusa dalla sua antica cinta muraria un numero ingente di persone che vi cercavano non solo un po’ di svago e di refrigerio da un torrido inizio estate, ma anche le tracce di un legame antico, fatto di memoria, di testimonianze, di storia.
Dopo secoli di separazione e di incomprensione, Balsignano è tornata a ricongiungersi con la sua città, il passato si è incontrato con il presente, e lo ha riconquistato, con l’imponenza delle torri restaurate del castello, con l’eleganza della chiesa di S. Felice, con il fascino del luogo nobile, ombroso, solitario. Questa “Notte di S. Giovanni”, illuminata da fiaccole, canti, danze, poesie, armi, duelli, ci lascia il presagio di un confortante avvenire.
Il 7 gennaio 1983, dopo una prima opera di recupero di notizie storiche e archeologiche, la rivista “Nuovi Orientamenti” organizzava un convegno sul tema “Balsignano: quale futuro?”. In realtà, si trattava di un convegno sul presente di Balsignano, inteso più che altro a denunciare lo stato di abbandono e di degrado del complesso medievale, ma anche ad illustrare la nobiltà e la dignità storica, artistica, paesaggistica, di un sito troppo a lungo dimenticato e abbandonato.
Perfino una rivista francese, “Geo”, segnalava qualche anno dopo la Chiesa di S. Felice tra i “tesori abbandonati” del sud Italia, “une chahapelle de pierres blanches livrèe aux géckos…parmi les oliviers de Balsignano” (una chiesetta di pietre bianche abbandonata ai gechi…tra gli ulivi di Balsignano).
Quel convegno, in effetti, segnò l’inizio della rinascita di Balsignano: i Modugnesi cominciarono a riscoprirne l’esistenza, le scuole a diffonderne la conoscenza storica e a ricostruirne le consuetudini, le istituzioni a riconsiderarne il valore sociale e culturale avviando nuovi progetti di recupero. Balsignano entrava a poco a poco nella coscienza pubblica e si producevano, sia pure molto faticosamente, i primi importanti risultati: l’acquisizione del sito al patrimonio comunale, un nuovo piano di scavi elaborato dalla Soprintendenza, un progetto di restauro del castello in gran parte ormai attuato. Ora, finalmente, si può cominciare a parlare davvero del futuro di Balsignano. La manifestazione del 23 giugno ha consacrato, si può dire, tutto il valore di Balsignano, ma ne ha anche rivelato tutte le straordinarie potenzialità. In una città e in un territorio fortemente deturpati e stravolti da una intensa opera di sfruttamento economico di natura industriale e urbanistica, il recupero di Balsignano può rappresentare per Modugno un’occasione di riscatto, la riconquista del decoro e della civiltà.
È necessario, pertanto, che, dopo venticinque anni da quel convegno, ora che Balsignano è diventata patrimonio collettivo della città e del suo territorio, si discuta davvero del suo futuro e della sua fruizione, sperando che la discussione sia qualificata e che i vari soggetti interessati siano all’altezza del compito e ne avvertano tutta la responsabilità, anche nell’interesse e nel rispetto delle future generazioni.
Intanto, appare subito evidente che bisogna portare a compimento il restauro dell’intero complesso: le stanze del castello, il pavimento e gli affreschi di S. Maria di Costantinopoli, la corte e il giardino interno; ma anche tutta la cinta muraria esterna, con la ricostruzione delle torrette di guardia e delle porte di accesso. Poi bisognerà sistemare l’area agricola interna al casale, compattando il terreno e facendone un prato erboso calpestarle e attrezzato sia per il relax delle famiglie che per l’organizzazione di spettacoli ed eventi culturali.
Ma il casale di Balsignano non può tornare davvero a pulsare di nuova vita se non concorre a nutrirlo l’intera area che lo contiene: un’area di straordinario interesse storico, archeologico, paesaggistico, che comprende, entro il corso di due rami del torrente Lamasinata, un villaggio neolitico, l’attigua chiesetta settecentesca di S. Pietro, un edificio rustico protoindustriale, grotte e insediamenti rupestri, un’oasi di protezione floro-faunistica, palmenti rurali, in un ambiente agricolo ancora ubertoso e incontaminato.
Non possiamo, pertanto, che rinnovare, con una forza accresciuta dai primi concreti interventi di restauro e dalle prime entusiastiche prove di fruizione pubblica, la proposta che “Nuovi Orientamenti” e il prof. Raffaele Licinio, docente di Storia Medievale all’Università di Bari, avanzarono già in quel convegno: fare di Balsignano un “museo all’aperto”, completamente restaurato, custodito, sede di un centro-studi normanno-svevi, ma anche aperto alla valorizzazione didattica, alla produzione agricola e artigianale, alla fruizione pubblica; il tutto, all’interno di un parco storico-archeologico-paesaggistico che comprenda l’intera area circostante, fino ad interessare anche i Comuni di Bitetto e di Bitritto. Non escludiamo a priori che dentro questa area possano anche insediarsi strutture private.
L’importante è che qualsivoglia progetto di intervento sull’area – sia esso pubblico o privato – sia oggetto di un serio confronto con il Comune, la Provincia, la Regione, la Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio, con le associazioni di tutela del territorio e con la stessa opinione pubblica, affinché il complesso di Balsignano. come sosteneva il prof. Raffaele Macina nella presentazione di quel convegno, “possa essere recuperato ad una funzione sociale, non speculativa, non effimera, ma adeguata e coerente con la sua genesi e la sua storia”.
Il futuro di Balsignano non può che emergere dal suo passato